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Omelia per la Famiglia Salesiana

Carissimi Fratelli e Sorelle,
della Famiglia Salesiana,

oggi, il brano di Marco propostoci dalla Liturgia ci presenta uno degli episodi più suggestivi della vita di Gesù. Vogliamo vedere quale messaggio più diretto ci viene da questa pagina del Vangelo e quale legame possiamo trovare con la riflessione che stiamo sviluppando in questi giorni della Spiritualità Salesiana.

La scena ci presenta Gesù, dentro in una casa, stretto tra un gran numero di persone; nonostante quella posizione scomoda riesce a parlare liberamente alla folla che ha occupato tutti i locali fino all'ingresso dell'abitazione. Ad un certo punto, fra le grida delle donne, le imprecazioni degli uomini, il senso di stupore e di paura per quello che sta avvenendo, improvvisamente... il soffitto, fatto probabilmente di paglia e fango, si apre e mentre i frantumi investono gli astanti dissipandosi per tutta la stanza. Tutti alzano lo sguardo esterrefatti e notano un lettuccio recante un uomo inferno che poco a poco si cala sul punto in cui era Gesù. L'unico che mantiene la calma e non si lascia prendere dal clamore e dal panico è proprio lui... Gesù non è meravigliato dal caos che si sta creando attorno a lui. Piuttosto è affascinato dalla fede di quelle persone che, dopo avere studiato un piano nei dettagli, dopo aver calcolato le modalità di accesso del loro parente infermo in quella casa, cercano in Gesù l'apportatore della Parola di salvezza, il Messia. E il paralitico? Lo si nota ammutolito e immobile, anzi immobilizzato in quella sconcertante posizione... E' malato fisicamente, ma nell'animo è più sano di tutti gli altri che presenziano quella casa! La malattia non gli impedisce infatti di vedere Gesù quale suo Salvatore e Figlio di Dio e di riporre la speranza in lui, anche nelle circostanze di peccato.

Contro le aspettative di tutti, Gesù lo libera dal male più lesivo che possa corrompere l'umanità, cioè il peccato, e questo certamente rallegra il povero paralitico che non ha neppure chiesto di essere guarito dal suo male (gli è bastato appunto vedere Gesù) "Figliolo, ti sono perdonati i tuoi peccati" Sentire questa espressione gli basta. Tuttavia c'è chi dubita. Ed effettivamente non è un dubbio illegittimo quello dei farisei e degli scribi: la facoltà di perdonare i peccati infatti per la Scrittura apparteneva solo a Dio.
La replica di Gesù: "E' più facile dire al paralitico: “Ti sono rimessi i tuoi peccati” o dire: 'alzati e cammina?' Già... Che cos'è più facile fra le due cose? Certamente non rimettere i peccati! Perché? La risposta è semplice: perché chi perdona un peccato deve necessariamente conoscere i sentimenti, nonché lo stato d'animo, l'eventuale pentimento, la contrizione interiore e altro ancora nell'interessato e chi può avere questa cognizione se non Dio solo?
Ebbene, se Gesù in un secondo momento guarisce il paralitico, lo fa perché vuol dimostrare che è molto più facile operare una guarigione piuttosto che perdonare un peccato. Ed ancora se Gesù dimostra di essere capace di operare una guarigione in un corpo malato, è per dimostrare che Egli può compiere la stessa guarigione nello spirito di un uomo. Pertanto perdona il peccato in modo legittimo mostrando di essere Figlio di Dio.

Questo Vangelo è quindi prima di tutto un invito ad accettare Gesù nella fede come Colui che ci può dare guarigione interiore e pienezza di vita.

In queste “Giornate di Spiritualità Salesiana” stiamo riflettendo sul tema dell’educazione. Il Rettor Maggiore ci ha invitati a ritrovare il nostro impegno educativo con il cuore di don Bosco. Che cosa ci muove in questa nostra vocazione? Il desiderio di pienezza di vita dei nostri giovani! Cosa viene chiesto a noi educatori cristiani con il cuore di don Bosco…? Di portare i giovani a Cristo Gesù datore di vita piena, di libertà interiore dal peccato. Ecco allora che lo stesso episodio di guarigione che abbiamo letto e meditato diventa una specie di icona del nostro agire educativo. Infatti i personaggi di questo episodio evangelico potrebbero rappresentare bene dal punto di vista simbolico quello che accade ai protagonisti di un processo educativo.

Il paralitico viene portato su una barella ed è impotente a fare qualsiasi movimento. Immobile e senza parola è lì che aspetta salvezza. Non solo nel corpo, ma anche nello spirito. Questo paralitico può essere riconosciuto da noi come l’immagine dei nostri ragazzi, dei nostri giovani. Quanti di loro sono paralizzati dalle loro difficoltà interne ed esterne! Quanti attendono che qualcuno li capisca, che qualcuno li aiuti, che qualcuno li liberi.
Le quattro persone che portano il paralitico, sono coloro che hanno compassione di lui, che solidarizzano con lui. Non si danno per vinte davanti alle difficoltà, inventano una soluzione nuova per riuscire nel loro intento. Queste persone possono essere un’immagine di coloro che sono i veri educatori. Persone solidali con l’umanità e la vita dei giovani. Essi non si arrendono: vogliono portare i loro giovani alla vita.
Il paralitico viene calato dentro la casa. E la casa è per eccellenza il luogo della Famiglia, quindi della propria vera identità, il luogo della vita. E al centro di questa casa c’è Lui, il Signore della vita, Gesù. Pensate come anche noi siamo chiamati a “riportare dentro la casa” i nostri giovani. “Dentro la casa” significa dentro le esperienze più vere, dentro le esperienze più umane, dentro l’esperienza “divina” di una conoscenza profonda di Gesù. Lui è sempre in casa nostra per restituire a tutti pienezza di vita ed identità.
La guarigione dal peccato rappresenta il recupero profondo della dignità di figlio di Dio. Questo per noi e per ogni giovane. E’ l’esperienza della guarigione e della libertà più piena. Il ritrovare una vita rinnovata nel segno della Grazia.
Si dice che del Paralitico: si alzò, prese lettuccio se ne andò..: esegue quello che dice Gesù e porta il passato (il suo lettuccio) come memoria preziosa dell’incontro di Colui che lo ha salvato. Non è così anche per tanti giovani che abbiamo aiutato? Portano il ricordo delle loro esperienze dure, ma soprattutto la gioia di essere stati guariti, rimotivati nella loro vita. Il passato diventa quindi il segno ed il luogo della riconoscenza.
E a questa riconoscenza si aggiunge la folla. Questa folla che impediva l’accesso alla casa dove era Gesù ora diventa un’assemblea che esalta e loda il suo operare.

Siamo ancora una volta noi che diciamo grazie al Signore della vita. Egli ci ha coinvolto nella vocazione salesiana per essere portatori di vita, perché possiamo amare ogni giovane in difficoltà, soprattutto il più povero ed indifeso, il più violto nei propri diritti. Egli attraverso don Bosco ci ha dato uno stile educativo originale ispirato all’amore, alla comprensione, alla speranza senza fine in un Dio il cui desiderio di sempre è “salvare l’uomo”.

Ecco il perché della nostra lode. Ecco il motivo della nostra gioia.

Roma, 18 Gennaio 2008

Don Adriano Bregolin
Vicario del Rettor Maggiore

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