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Promuovere i diritti umani, in particolare quelli dei minori, come via salesiana per la promozione di una cultura della vita e del cambiamento delle strutture. Il Sistema Preventivo di Don Bosco ha una grande proiezione sociale: vuole collaborare con molte altre agenzie alla trasformazione della società, lavorando per il cambio di criteri e visioni di vita, per la promozione della cultura dell’altro, di uno stile di vita sobrio, di un atteggiamento costante di condivisione gratuita e di impegno per la giustizia e la dignità di ogni persona umana.
L’educazione ai diritti umani, in particolare ai diritti dei minori, è la via privilegiata per realizzare nei diversi contesti questo impegno di prevenzione, di sviluppo umano integrale, di costruzione di un mondo più equo, più giusto, più salubre. Il linguaggio dei diritti umani ci permette anche il dialogo e l’inserimento della nostra pedagogia nelle differenti culture del nostro mondo.

(dai contenuti fondamentali della Strenna del Rettor Maggiore per il 2008)

“EDUCARE AI DIRITTI UMANI:
giovani missionari tra i giovani per lo sviluppo umano e una cittadinanza mondiale attiva e responsabile"

Carola Carazzone

Il grido delle violazioni dei diritti umani

La situazione dei diritti umani è a livello mondiale raccapricciante. Ogni minuto, ogni secondo vengono perpetrate massicce e gravissime violazioni della dignità della persona e dei suoi diritti e libertà fondamentali.
Non esistono Paesi o società immuni.
Le questioni di diritti umani non sono questioni da Paesi in via di sviluppo.
Proprio i Paesi che si autodefiniscono a “democrazia avanzata” sempre più spesso adottano una politica di diritti umani che possiamo definire “dei due pesi e delle due misure”.

L’Italia, per esempio, se, da un lato, conduce in sede di Nazioni Unite l’importantissima battaglia per la moratoria internazionale della pena di morte o svolge un ruolo chiave nei negoziati che hanno portato all’approvazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità - l’ultima nata, aperta alla firma il 30 marzo 2007, delle otto convenzioni fondamentali ONU in materia di diritti umani -, da altro lato, non è disposta a ratificare - come del resto nessun Paese dell’Europa dell’Ovest – la Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti o a garantire la responsabilità legale delle imprese in materia di diritti umani oppure, ancora, non è disposta a dotarsi a livello nazionale di un’autorità indipendente per la promozione e protezione dei diritti umani, rimanendo inadempiente alle risoluzioni in materia delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa e fanalino di coda non solo a livello europeo.

Al di là dell’Italia, si pensi, per esempio, agli ostacoli posti da potenti lobby economiche all’effettivo riconoscimento in sede di Nazioni Unite del diritto ad un ambiente salubre o agli ostacoli posti da Paesi che si autoproclamano “democrazie consolidate” al riconoscimento in strumenti giuridici internazionali vincolanti del diritto allo sviluppo o anche del diritto alla libertà dalla fame e dalla sete con i conseguenti correlati doveri giuridici anche in termini quantitativi e qualitativi di cooperazione internazionale oppure, ancora, si pensi agli ostacoli posti per impedire la giurisdizione internazionale sui crimini di guerra e contro l’umanità.

Troppo spesso troppi Paesi adottano politiche dei diritti umani fittizie perché dicotomiche: certi diritti sì, altri no; per alcuni gruppi vulnerabili sì, per altri no; riconoscimento teorico forse, effettiva giustiziabilità - con conseguenti restrizioni anche in termini di sovranità nazionale - quasi mai.
É vero che se si guarda, in prospettiva diacronica, alla storia dei diritti umani, non si può non notare che i progressi compiuti a partire dal 1990 non erano probabilmente neppure sperabili fino alla caduta del muro di Berlino: nel 1990 solo il 10% dei Paesi del mondo aveva ratificato le allora sei principali Convenzioni Internazionali per i diritti umani, nel 2000 tale numero era aumentato in modo spettacolare, giungendo a quasi la metà di tutti i Paesi, con cinque delle Convenzioni ratificate da più di 140 Paesi.
Moltissimi Paesi dell’Est, inoltre, in seguito alla caduta del muro di Berlino, hanno inserito i diritti umani nelle proprie Costituzioni nazionali, come prima era avvenuto in tanti paesi afro-asiatici, una volta raggiunta l'indipendenza dai regimi coloniali.
Molti Paesi, negli anni più recenti, hanno introdotto l’educazione ai diritti umani nei programmi scolastici e creato nuove istituzioni per promuovere i diritti umani e affrontarne le violazioni: Autorità Garanti, Commissioni nazionali indipendenti, Ombudspersons, Difensori civici.
Ancora, gli anni Novanta hanno visto l’istituzione dei Tribunali Penali Internazionali per la ex-Yugoslavia, per il Ruanda, mentre nel 2000 è stata istituita la Corte Speciale per la Sierra Leone, nel 2003 il Tribunale Speciale per la Cambogia e, il 1 luglio del 2002, dopo più di mezzo secolo di campagne per la sua istituzione, la Corte Penale Internazionale permanente è entrata in vigore.

Se, dicevamo, è vero che non si può non tenere conto di questi risultati, è il grido - dove per lo meno è grido e non silenzio assordante - delle massicce violazioni della dignità e delle libertà della persona che rimbomba ogni giorno ai quattro angoli della terra.
Il grido del miliardo e 100 milioni di persone che vive con meno di un dollaro al giorno; dei 2,8 miliardi di persone che vivono con meno di 2 dollari al giorno; del miliardo e 200 milioni che non hanno accesso ad acqua potabile e dei 2 miliardi e 600 milioni che non hanno accesso a nessun tipo di cure mediche; degli 854 milioni di persone adulte analfabete; dei 25 milioni di persone internally displaced (costrette a fuggire all’interno del proprio Paese), di una ogni tre donne al mondo che ha subito violenza.

“La Comunità internazionale deve individuare nuovi modi e mezzi per rimuovere gli attuali ostacoli ed affrontare le sfide per la piena realizzazione di tutti i diritti umani ed eliminare la continua violazione dei diritti umani esistente ancora nel mondo”.
È questa la sfida in tema di diritti umani: come garantire l’effettività pratica dei diritti astrattamente proclamati? cosa fare per eliminare la continua violazione dei diritti umani ancora esistente nel mondo? cosa fare per prevenirla? quali cambiamenti di pensiero e di azione proporre per porre fine ai fallimenti di oggi?

Da salesiani, la sfida è per noi soprattutto incentrata sulla prevenzione, sul rompere il circolo vizioso che perpetua le continue violazioni dei diritti e della dignità della persona, sul promuovere una cultura diffusa dei diritti umani, capace di uscire dalle stanze dei giuristi e dei filosofi del diritto per farsi patrimonio dell’umanità.
La sfida è educare i giovani alla partecipazione e all’impegno individuale e sociale per lo sviluppo umano, a farsi soggetti attivi di cittadinanza mondiale responsabile.

Il carisma salesiano per la promozione e protezione dei diritti umani

Da 150 anni i salesiani si adoperano in 130 Paesi per la promozione e la protezione di quelli che oggi i giuristi definiscono i diritti dei bambini e degli adolescenti, in particolare, in base all’opzione preferenziale salesiana, di quelli più poveri e vulnerabili.

Il recente riconoscimento internazionale dei bambini e degli adolescenti come soggetti di diritti ha indubbiamente costituito una delle tappe fondamentali del movimento per la promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
L’adozione della Convenzione di New York da parte della Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 rappresenta il punto di arrivo di 70 anni di rivendicazioni dal basso e il punto di partenza per la promozione e la protezione dei bambini e degli adolescenti in base ad una nuova visione ed in una nuova prospettiva con tanti elementi in comune con la concezione salesiana del ragazzo.
La Convenzione di New York, attualmente ratificata da 192 Paesi, segna, per lo meno a livello normativo, il passaggio dalla visione del bambino vulnerabile, “bisognoso”, come oggetto di protezione o anche oggetto di repressione, alla visione del bambino vulnerabile come soggetto, a pieno titolo, di diritti propri, agente di sviluppo umano.
Il bambino povero, analfabeta, con disabilità, abbandonato, il bambino che infrange la legge penale o che vive in strada non può più essere considerato - nella “migliore” delle ipotesi - vittima della società e - nella “peggiore” ipotesi - una minaccia per la società da separare da essa e istituzionalizzare.
Con la Convenzione di New York, quadro giuridico di riferimento per praticamente tutti i Paesi del mondo, la prospettiva, almeno teoricamente, si capovolge: da politiche emergenziali basate sui bisogni a politiche basate sui diritti, da una distribuzione di beni e servizi di base indirizzata dall’alto verso il basso a beneficiari-destinatari passivi di assistenza, ad una costruzione nel lungo periodo delle capacità individuali e sociali (le capabilities elaborate da Amartya Sen), dal basso verso l’alto.

È bellissimo studiare le linee applicative della Convenzione di New York e del diritto internazionale dei diritti umani conoscendo Don Bosco.
Certo, Don Bosco non poteva parlare di diritti umani dei bambini e degli adolescenti (non esisteva neppure la categoria giuridica!), ma Don Bosco è stato un precursore di tanti elementi della visione del bambino e dell’adolescente che oggi viene definita basata sui diritti umani.
Don Bosco ci insegna la integralità della persona e l’approccio basato sui diritti umani chiede l’applicazione del principio di indivisibilità ed interdipendenza di TUTTI i diritti fondamentali della persona civili, culturali, economici, politici e sociali.
Don Bosco ci insegna l’educazione integrale alla cittadinanza onesta e l’approccio basato sui diritti umani chiede l’applicazione del principio di responsabilità comune differenziata per la promozione e la protezione di tutti i diritti umani per tutti.
Don Bosco ci insegna l’un per uno e l’approccio basato sui diritti umani chiede l’applicazione caso per caso del principio del superiore interesse del minore.
Don Bosco ci insegna che il ragazzo sta al centro come soggetto attivo e partecipe e l’approccio basato sui diritti umani chiede l’applicazione del principio della partecipazione attiva, libera e significativa del minore.
Don Bosco ci insegna “basta che siate giovani perché io vi ami assai” e l’approccio basato sui diritti umani chiede l’applicazione permanente, trasversale e in positivo del principio di non discriminazione.

Sono tanti i salesiani quotidianamente impegnati per i diritti dei bambini e degli adolescenti, per dare loro dignità e voce, per rompere il circolo vizioso tra povertà, violazioni di diritti umani, sottosviluppo. Magari senza aver mai letto la Convenzione di New York o studiato Amartya Sen, semplicemente amando ed educando alla maniera di Don Bosco.

Ma la sfida educativa e sociale che ci lancia il Rettor Maggiore oggi, con la Strenna per il 2008, è ancora più ampia e riguarda tutte le opere salesiane: scuole, oratori, parrocchie, non solo le opere che si occupano di emarginazione.

La sfida che ci lancia il Rettor Maggiore

Con la Strenna per il 2008 il Rettor Maggior lancia alla Famiglia Salesiana una sfida appassionante, proprio a partire dal grido delle violazioni massicce e gravissime di diritti umani, in particolare dei bambini e degli adolescenti: “promuovere i diritti umani come via salesiana per la promozione di una cultura della vita e del cambiamento delle strutture”.

È una sfida al carisma stesso, pedagogico ed educativo, salesiano.
I salesiani, presenti in 150 paesi, educano ogni anno milioni di ragazzi e hanno una rappresentatività mondiale unica per avere voce in capitolo a livello mondiale nella promozione dei diritti umani, nell’educare alla cittadinanza mondiale, attiva e responsabile, nel costruire “un mondo più giusto, più equo, più salubre”.

Troppo spesso l’educazione oggi è un’educazione di mercato, al servizio del mantenimento di uno status quo che continua, nell’era della globalizzazione, a privatizzare la ricchezza sempre più in poche mani, in poche persone, in pochi gruppi, in pochi Paesi e, nel contempo, socializza la povertà.
“Dramma dell’umanità moderna – ci insegna il Rettor Maggiore - è la frattura tra educazione e società, il divario tra scuola e cittadinanza”.
L’educazione salesiana deve invece essere “un’educazione ai valori, promotrice e creatrice di cittadinanza responsabile”.
Il Rettor Maggiore ci parla di educazione umanizzante e di pastorale dell’impegno, affermando che la proposta educativa alteroculturale salesiana, per una cultura di giustizia, di solidarietà, di cambiamento delle strutture, pur nascendo dall’opzione preferenziale con i più poveri, deve riguardare tutte le opere salesiane e non ridursi alle opere della marginalità.

Che cosa significa oggi per i salesiani formare l’onesto cittadino?
Cosa significa oggi educare ad una cittadinanza mondiale attiva, responsabile, che ha a cuore le sorti della società e dell’umanità che ormai è globalizzata.

É in questa prospettiva che l’educazione AI e PER i diritti umani come educazione permanente, capace di muovere il ragazzo e poi l’adulto all’impegno individuale e sociale, alla responsabilità comune differenziata per lo sviluppo umano, assume una rilevanza irrinunciabile per i salesiani.

La necessità di un approccio preventivo ai diritti umani

La questione dell’educazione ai diritti umani è una questione piuttosto recente.

Per molto tempo la prospettiva del movimento per i diritti umani è stata troppo spesso esclusivamente una prospettiva “punitiva”: denunciare le violazioni dopo che queste erano già state commesse.
Ora, la denuncia delle violazioni dei diritti umani è sicuramente un’arma fondamentale a disposizione delle organizzazioni non governative, di associazioni, di singoli, a maggior ragione oggi che l’era dell’informazione permette, attraverso le nuove tecnologie (blog, chat, forum on line) ma anche un computer ed un accesso ad internet, di aderire a campagne internazionali, movimenti, appelli a favore dei diritti umani.

La denuncia può servire, talvolta, a salvare la vita della vittima.
La denuncia può essere utile inoltre a sensibilizzare nuove persone, gente comune che normalmente non si interesserebbe alle tematiche dei diritti umani – penso alle grandi campagne contro l’uso di bambini soldato, contro la pena di morte in cui il ruolo dell’opinione pubblica è stato fondamentale.

Denunciare è uno strumento vitale non solo ex post per proteggere diritti già violati, per fare giustizia, ma anche ex ante per promuovere i diritti umani, per sensibilizzare a prevenirne le violazioni.
Il problema però è che l’esclusività della prospettiva della denuncia, che ha caratterizzato fino ai tempi più recenti tanta parte dell’azione per i diritti umani, può risultare riduttiva.

È necessario infatti diffondere una cultura dei diritti umani, educare ai diritti umani, persuadere, oltre che proibire; prevenire, oltre che curare.
Finora sono state investite risorse irrisorie nella prevenzione, nell’educazione ai diritti umani, scolastica ed extrascolastica.
Si pensi che in Italia i diritti umani e i loro sistemi di promozione e protezione non costituiscono materia obbligatoria di insegnamento neppure alla Facoltà di Giurisprudenza.
È ovvio che il singolo professore, se particolarmente sensibile al tema, potrà inserirlo nell’insegnamento di diritto costituzionale, di diritto internazionale, di filosofia del diritto o di storia del pensiero giuridico ma, certo, questo eventuale insegnamento discrezionale non ci sembra sufficiente.

La conoscenza è, come noto, la forma di controllo più efficace, in quanto consente sia di utilizzare gli strumenti giuridici internazionali, regionali, nazionali a disposizione -segnalazione all’Alto Commissariato di Ginevra, presentazione del caso al Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne, redazione di un rapporto alternativo, ecc – sia di controllare l’operato dei pubblici poteri e l’adeguatezza delle politiche da essi predisposte per la realizzazione dei diritti umani.
Eppure, anche le organizzazioni non governative, solo recentemente hanno iniziato a investire risorse per l’educazione ai diritti umani.
Il prossimo anno celebreremo i 60 anni dalla approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite della Dichiarazione Universale dei diritti umani e questa lacuna deve essere colmata, altrimenti le proclamazioni solenni non potranno che rimanere ideali astratti, e in fin dei conti, poco più che carta.

Ed è in questa prospettiva educativa che il carisma salesiano può davvero dare un contributo fondamentale di diffusione della cultura della dignità della vita e delle libertà, di impegno di cittadinanza responsabile e di prevenzione.

L’educazione ai diritti umani per una cittadinanza mondiale, attiva e responsabile

Il riconoscimento internazionale del diritto-dovere di educazione ai diritti umani

Il diritto internazionale dei diritti umani è stato lento nel riconoscere l’educazione ai diritti umani come fine e mezzo precipuo di sviluppo umano e strumento primario e irrinunciabile di prevenzione.
Il dettato dell’articolo 26 (2) della Dichiarazione Universale dei diritti umani afferma: “L'educazione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”.
Ma a lungo l’educazione è stata considerata una questione di accesso, una questione quantitativa di istruzione, non una questione in sé di diritti umani.

È con la Convenzione di New York del 1989 e poi con la Conferenza Mondiale di Vienna del 1993 che il diritto-dovere di educazione ai diritti umani trova una salda ed effettiva definizione anche in termini programmatici e di responsabilità.
L’art. 29 della Convenzione di New York intitolato “Le finalità dell’educazione” recita: “Gli Stati convengono che l'educazione del fanciullo deve avere come finalità:
favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue capacità e delle sue attitudini mentali e fisiche in tutta la loro potenzialità;
sviluppare nel fanciullo il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite;
sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori del paese nel quale vive, del paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua;
preparare il fanciullo a una vita responsabile in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi e delle persone di origine autoctona;
sviluppare nel fanciullo il rispetto dell'ambiente naturale”.

Questo articolo che, almeno giuridicamente, vincola 192 Stati, aggiunge al diritto all’educazione (riconosciuto nell’articolo 28) una dimensione qualitativa, di educazione ai valori, di educazione ai e per i diritti umani.
Il diritto all’educazione non è, come troppo spesso si è ritenuto, solo una questione di accesso all’istruzione (art. 28), ma anche di contenuto.
L’educazione inoltre va al di là dell’istruzione formale per includere la vasta gamma di esperienze di vita e processi di apprendimento che permettono al ragazzo, individualmente o collettivamente, di sviluppare la propria personalità, le proprie capacità e di vivere una vita degna, piena e soddisfacente all’interno della società.
In questa nuova prospettiva pertanto il dovere di realizzazione correlato al diritto all’educazione ai diritti umani coinvolgono tanti e diversi attori in tutti gli ambienti educativi.

Durante la Conferenza di Vienna poi, la comunità internazionale riconobbe l’importanza fondamentale dell’educazione ai diritti umani al fine di promuovere una cultura universale dei diritti umani e, in particolare, al fine di prevenirne le violazioni.
Nel dicembre del 1994, proclamando il Decennio delle Nazioni Unite per l’Educazione ai Diritti Umani (1995-2004), l’Assemblea Generale definì l’educazione ai diritti umani: “un processo permanente attraverso il quale la gente, a qualunque livello di sviluppo e in tutti gli strati della società, impara il rispetto e la dignità degli altri nonché i modi e i metodi per garantire tale rispetto in tutte le società”.

Nel dicembre 2005, Le Nazioni Unite hanno lanciato il Programma Mondiale per l’educazione ai diritti umani, il cui piano di azione per la prima fase (2005-2008) prevede l’integrazione dei diritti umani nei curricula della scuola primaria e secondaria.

Quale educazione ai diritti umani

Un’educazione che non andasse al di là della descrizione delle situazioni di ingiustizia mondiale e di violazione dei diritti umani, sarebbe inevitabilmente complice di questa ingiustizia.
L’educazione ai diritti umani non può limitarsi a far conoscere i diritti umani, ma deve essere una educazione non solo AI ma anche PER i diritti umani, deve indurre all’impegno, alla solidarietà, all’azione.

L’educazione alla promozione di diritti umani si pone l’obiettivo di contribuire a costruire una cultura diffusa, di base, dei diritti umani capace di dialogare, persuadere e, in ultima istanza, di prevenire le violazioni dei diritti stessi, piuttosto che punirle e reprimerle.
L’educazione per i diritti umani, in una visione evolutiva e non statica di essi, infatti, non è, e non può essere, la rivelazione di una verità statica ed immutabile, ma un dialogo, un confronto che, dalla teoria generale ed astratta, viene attualizzato e contestualizzato nella realtà locale.
In questa prospettiva, l’educazione ai diritti umani deve necessariamente essere multidimensionale e caratterizzarsi come educazione integrale e permanente alla cittadinanza attiva e responsabile, in grado di unire il descrittivo al prescrittivo, il sapere all’essere, e di integrare trasmissione del sapere e formazione della personalità.
Il risultato del sapere di pace dei diritti umani è quello di una cittadinanza plurima configurabile come un albero il cui tronco è lo statuto giuridico di persona, la identità-cittadinanza primaria, e le radici sono i diritti umani fondamentali mentre i rami sono le identità-cittadinanze derivate (italiana, europea, di genere, di ruolo, ecc).
In questa prospettiva, l’educazione ai diritti umani è educazione all’azione, al gesto, alla presa di posizione, alla presa in carico, all’analisi critica, al pensare, all’informarsi, a relativizzare le informazioni ricevute dai giornali, dai media, è una educazione che deve diventare permanente e quotidiana.

Su questi fondamenti, l’educazione ai e per i diritti umani deve comprendere almeno tre dimensioni:
una dimensione cognitiva (conoscere, pensare criticamente, concettualizzare, giudicare),
una dimensione affettiva (provare, fare esperienza, empatia)
una dimensione volitiva comportamentale attiva (compiere scelte e azioni, mettere in atto comportamenti orientati).

Perché educazione ai e per i diritti umani e non insegnamento

Se per insegnamento intendiamo una attività didattica di tipo tradizionale in cui uno solo, l’insegnante, ha qualcosa da insegnare, e tutti gli altri (studenti, allievi) hanno solo da ascoltare e imparare, i diritti umani non si insegnano: ai diritti umani ci si educa.
I diritti umani non si insegnano dall’alto verso il basso così come non si impongono.
Ai diritti umani ci si educa (dal latino e -ducere), i diritti umani si trasmettono e si apprendono, se in queste parole consideriamo ci sia uno spazio per il confronto reciproco, il dialogo e la rielaborazione personale.

I diritti umani sono ancora una materia per addetti ai lavori che sporadicamente balza agli onori (disonori) della cronaca per poi, dopo poco, scomparire e ritornare nel chiuso delle stanze di giuristi e filosofi del diritto.
L’educazione per i diritti umani deve uscire dal ristretto ambito di competenza di giuristi e avvocati senza alcuna aspirazione interdisciplinare per diventare patrimonio di tutti, di chiunque si senta pronto ad aprire e sostenere un dialogo interculturale che dai diritti umani tragga fondamento.
I diritti umani devono diventare patrimonio di tutti, momento di dialogo e confronto per qualunque persona, istruita o meno.

Tutti possono insegnare i diritti umani e tutti possono imparare i diritti umani.
L’educazione ai diritti umani è un’educazione a tutti i livelli e in tutti i contesti sociali. Tutti, bambini, ragazzi, adolescenti, adulti, possono essere educati al valore etico del diritto e ai suoi effetti pratici sul vivere sociale.
Ciascuno, anche un ragazzo (si pensi agli strumenti offerti dalla cosiddetta peer to peer education, l’educazione tra pari) può divenire, a sua volta, educatore ai diritti umani e loro promotore.

L’educazione ai diritti umani in passato è stata (e talvolta ancora oggi è) intesa come educazione civica a scuola.
Tale prospettiva è estremamente limitata e limitante per almeno quattro ragioni:
in quanto autoreferenziale rispetto al proprio contesto,
in quanto spesso ridotta ad un insegnamento meramente cognitivo e teorico-normativo di una materia ritenuta soltanto giuridica o filosofica, con un insegnamento dei diritti umani ancora ancorato sulle norme e sui contenuti delle norme,
in quanto inibita agli adulti, capace al più di raggiungere bambini e adolescenti,
in quanto limitata all’ambito scolastico.

Oggi molte ricerche hanno confermato i limiti di questo approccio tradizionale (civic learning) basato esclusivamente sulla conoscenza delle istituzioni politiche e della loro storia e propugnano un approccio più ampio, socio-civic learning, che stimoli all’esperienza pratica, all’accettazione di responsabilità e alla partecipazione, approccio che ha tanti elementi in comune con lo stile educativo salesiano.

Interdisciplinarietà e integralità dell’educazione per i diritti umani

I diritti umani, infatti, non sono soltanto una materia giuridica o filosofica, sono una materia interdisciplinare.
A scuola possono essere spiegati e discussi nell’ambito di numerose materie: storia, geografia, lingue straniere, letteratura, biologia, fisica, musica, economia.

L’educazione ai diritti umani a livello scolastico, poi, seppur fondamentale, non copre, né potrà mai coprire, la molteplicità delle vie percorribili per la diffusione di una cultura dei diritti umani.
Organizzazioni non governative, associazioni, oratori, centri sociali, centri di aggregazione giovanile, centri diurni possono svolgere un ruolo chiave nell’educazione ai diritti umani e alla cittadinanza responsabile.

Per la scuola, comunque, rimane il problema di trovare una collocazione dell’educazione ai diritti umani all’interno del curriculum. I programmi di insegnamento sono già sovraccarichi di contenuti e molte aree di nuove conoscenze, finora escluse dalla scuola sono in lista di attesa.
I diritti umani dovrebbero essere parte integrante della formazione e dell’aggiornamento degli insegnanti, affinché siano gli insegnanti stessi a poterli rielaborare e a trasmetterli in un approccio multidisciplinare come leit motive trasversale (mainstreaming) all’interno delle diverse materie.
Ma ciò rimane ancora piuttosto di là da venire e i diritti umani continuano ad essere una materia specialistica, non trasversale, anche a livello universitario.

La soluzione ottimale sarebbe una vera educazione integrale ai diritti umani: un’educazione che affianchi elementi formali, elementi non formali ed elementi informali, un’educazione integrale che coinvolga ambiti scolastici ed extrascolastici.

L’educazione integrale per i diritti umani supera la dimensione meramente giuridica e cognitiva, per favorire il passaggio dalla conoscenza, all’interiorizzazione, all’impegno e all’assunzione di responsabilità.
Si può infatti dire che l’educazione alla cittadinanza, alla democrazia, alla pace attraverso i diritti umani coinvolge tutti gli ambienti educativi e si articoli in tre fasi successive:
la prima è la conoscenza dei propri diritti, dei propri doveri e dei valori sottostanti;
la seconda è la riflessione personale, l’interiorizzazione di quei valori e diritti;
la terza è l’apprendere a praticarli e l’imparare a difendere i propri diritti e quelli degli altri.

Educazione permanente per una cultura diffusa dei diritti umani

I diritti umani, dicevamo, non si insegnano così come non si impongono, ma ai diritti umani ci si educa attraverso il dialogo e il confronto reciproco.

I diritti umani non sono un catalogo fisso ed immutabile dei diritti elencati nelle norme, ma, come dice Antonio Papisca, un progetto politico: “il nucleo duro di un più ampio sapere a vocazione interdisciplinare. Il sapere che, partendo dal valore assoluto della dignità umana, induce a ricomporre i saperi particolari e ad armonizzare le differenti culture nel rispetto della loro originalità. Un sapere che fa la pace, un sapere di pace, utile, soprattutto in questa difficile fase della storia mondiale, a trasformare in dialogo inter-culturale le conflittualità che accompagnano i processi di multi-culturalizzazione”.

L’educazione per i diritti umani è allora educazione ai valori sottesi ai diritti e ai diritti intesi come efficaci traghettatori dei principi dell’etica umana universale dentro la politica.

Ci si educa ad impegnarsi per le cause e le questioni che rileveranno giorno dopo giorno nella vita quotidiana sia a livello locale sia a livello internazionale.
Parlare allora di educazione permanente a una cultura dei diritti umani significa passare dai diritti all’etica, ai valori, alle norme, alle attitudini, agli orientamenti che ispirano i comportamenti delle persone considerate sia singolarmente sia collettivamente e lasciare da parte la tradizionale concezione di educazione ai diritti come insegnamento cognitivo e teorico di quanto sancito dalle norme.

É importante infatti sottolineare l’aspetto sistematico collegato al concetto di cultura. Non si tratta di inserimenti sporadici, ma di principi etici coerenti, interdipendenti che devono produrre opportune conoscenze, abilità, attitudini, non sterili affermazioni, ma azioni.
Attenzione però la cultura dei diritti umani non è una realtà statica, definita, ma è un processo in divenire, che evolve continuamente rispetto al quale i contenuti dei diritti umani fungono da “leva” e contemporaneamente da “obiettivo”.
Oggi inoltre educare significa insegnare alla persona ad auto-educarsi senza sosta in un ambiente culturale fluido ed in una societá in costante evoluzione. Di qui la necessità di quella che si definisce educazione permanente.

È essenziale, in questa prospettiva, porre in luce gli elementi problematici, gli spazi d’ombra, le criticità: i diritti umani non sono la Verità, né una panacea.
Oggi infatti si fa un gran parlare di “diritti umani”: la locuzione viene utilizzata da alcuni Stati per rivendicare la legittimità degli interventi militari o della guerra “etica” nella lotta al terrorismo, da cittadini di Paesi ricchi per invocare la protezione dei propri diritti di consumatore, dai Paesi dell’Unione Europea per negare aiuti a Paesi poveri che li violano, da Capi di Governo autocrati per sostenere che i diritti umani sono la nuova giustificazione del colonialismo dell’Occidente ed esigere la non ingerenza nei cosiddetti affari interni, dalla società civile per battersi per i diritti di chi non ha voce.
Uso ed abuso dunque di una locuzione, “diritti umani”, che è uscita dal dibattito ristretto di giuristi e filosofi per suscitare l’interesse di un’opinione pubblica allargata, ma in merito alla quale attualmente regna ancora parecchia confusione.

I diritti umani non sono una lista, un decalogo di diritti prefissati o predeterminati, statici.
La stessa Dichiarazione Universale dei diritti umani, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, pur con la sua portata rivoluzionaria nel riconoscere la persona umana come soggetto del diritto internazionale, è una fotografia dei diritti in quel momento storico, non dimentichiamo, infatti, che nel 1948 negli USA vigeva ancora un regime di segregazione razziale che sarebbe durato ancora quasi vent’anni, che in molti Stati, anche europei, le donne non avevano diritto di voto, che tanti popoli erano ancora sotto il regime coloniale.

Quale visione dei diritti umani: due prospettive irrinunciabili

Indivisibilità ed interdipendenza di tutti i diritti umani: civili, culturali, economici, politici e sociali

I diritti ineriscono alla persona umana che li possiede fin dalla nascita, come se fossero iscritti nel suo DNA: lo Stato non li concede, non li elargisce, ma si limita a riconoscerli.
I diritti civili, culturali, economici, politici e sociali sono tutti ugualmente necessari per la dignità e la libertà di ogni essere umano.
Per cinquant’anni i Paesi socialisti hanno sostenuto che fosse necessario cancellare i diritti civili e politici per promuovere i diritti economici e sociali, mentre alcuni Paesi del blocco occidentale hanno affermato l’opposto, che fosse necessario sopprimere i diritti economici e sociali per garantire i diritti civili e politici.
Oggi non è più possibile giustificare la vecchia dicotomia della guerra fredda e la violazione dei diritti civili e politici per promuovere i diritti economici e sociali o viceversa, in quanto gli uni possono essere effettivamente goduti solo se contemporaneamente si dispone anche degli altri.
I diritti umani sono infatti indivisibili in quanto al centro di essi c’è la persona umana, con il suo diritto inviolabile a vivere una vita dignitosa in ogni dimensione: civile, culturale, economica, politica e sociale.
I diritti umani sono inoltre interdipendenti, nel senso che i diritti civili e politici senza i diritti economici e sociali sono vuoti e viceversa.
Tra realizzazione dei diritti civili e politici e realizzazione dei diritti economici e sociali non esiste un rapporto di subordinazione, ma una relazione di reciprocità vitale. Essi si alimentano vicendevolmente innescando un circolo virtuoso e si annullano vicendevolmente mettendo in moto un circolo vizioso.
Eppure indivisibilità ed interdipendenza di tutti i diritti umani sono ancora parole, estremamente lontane dalla realtà dei fatti, concetti astratti rispetto all’attualità dei diritti umani.
A tutto oggi diritti umani significa per lo ius positum praticamente solo diritti civili e politici.
A livello mondiale, anche in sede di Nazioni Unite, si acuisce sempre di più, in una visione da entrambi i lati monca dei diritti umani e della indivisibilità ed integralità della persona, la frattura tra i Paesi che godono di un buon livello di sviluppo economico e che vogliono conservare lo status quo e i Paesi poveri che rivendicano con forza il diritto allo sviluppo e alcuni diritti economici, sociali e culturali.
Un’opinione pubblica (o, visto dall’altra parte, un elettorato) che in Europa e in Nord America si proclama molto sensibile ai diritti umani, in realtà lo è per taluni diritti civili e politici.
Risulta comodo infatti puntare il dito sui Paesi in cui le donne non possono denunziare le violenze sessuali subite, ma far finta che il degrado ambientale non ci riguardi o che la drammatica indigenza della maggior parte delle persone nel mondo non esista o non dipenda dai nostri modelli di produzione e dai nostri stili di vita.
È altrettanto comodo proclamarsi paladini dei diritti umani sempre che non riguardino gli immigrati e i richiedenti asilo o la cooperazione allo sviluppo.

Responsabilità comune differenziata

Utilizzare il linguaggio dei diritti umani presenta notevoli benefici, ma può prestare il fianco a facili strumentalizzazioni.
I benefici apportati dall’utilizzazione del linguaggio dei diritti umani come strumento di cambiamento sociale perché ogni persona in ogni angolo della terra possa godere di una vita libera e dignitosa sono molteplici.
Nel nuovo contesto globalizzato i diritti umani diventano uno strumento in grado di oltrepassare gli angusti confini nazionali per porre limiti e obiettivi comuni, creare alleanze e strategie e mobilitare risorse, umane ed economiche.

Ma, dicevamo, il linguaggio dei diritti diventa rischioso o addirittura mendace e fuorviante se non integrato con doveri e responsabilità.

Se, per quanto riguarda i propri diritti, si è pronti a stilare una lista lunghissima e a chiamare diritti, o ancor peggio diritti umani, meri interessi mentre, per quanto riguarda i diritti degli altri, non si è disposti a riconoscere neppure le responsabilità e i doveri corrispondenti ai diritti vitali più basilari, allora, probabilmente, è meglio evitare di parlare di diritti umani.

La prospettiva dei diritti umani è infatti per sua stessa natura inclusiva: tutti i diritti umani per tutti.
I diritti delle donne, i diritti delle minoranze, i diritti delle persone con disabilità non sono diritti “speciali”.
Ogni persona umana ha diritto di godere di tutti i diritti fondamentali e lo Stato, la comunità, gli altri individui hanno il dovere di adoperarsi per garantire al singolo, tenuto conto della sua specialità e della sua diversità, il miglior godimento possibile.

É imprescindibile e urgente superare l’esclusività della responsabilità statale e identificare le responsabilità di tutti gli attori: istituzionali, economici e sociali in grado di influire sulla effettiva realizzazione dei diritti umani.
Nel nuovo contesto globalizzato la responsabilità statale oggi è indispensabile ma non è più sufficiente.
L’esclusività della prospettiva individuo-Stato, ereditata dall’illuminismo europeo e nord americano del XVIII e XIX secolo, che ancora tanto caratterizza gli attuali meccanismi di promozione e protezione dei diritti umani è insufficiente.

Oggi è pertanto necessario un sistema di responsabilità per la promozione e la protezione dei diritti umani molto più differenziato che coinvolga, oltre agli Stati, anche le organizzazioni globali e le istituzioni finanziarie internazionali (Organizzazione Mondiale del Commercio, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale), le imprese, le organizzazioni non governative, i media, le scuole, le comunità, le famiglie, i singoli individui: tutti attori in grado di avere un impatto immenso sull’effettivo godimento dei diritti umani.

Giovani missionari tra i giovani

Dicevamo che il linguaggio dei diritti umani è un linguaggio laico che accomuna, che consente di arrivare ai governi, ai politici, ai media.

Ma come arrivare ai ragazzi? Come arrivare al loro cuore? Come muoverli al rispetto, all’interiorizzazione, all’impegno per i diritti umani?
É questa la sfida che come salesiani ci tocca più da vicino.
La sfida è educare i giovani alla partecipazione e all’impegno individuale e sociale per lo sviluppo umano, a farsi soggetti attivi di cittadinanza mondiale responsabile.

I salesiani hanno, come forse poche altre agenzie educative, gli strumenti pedagogici assio-pratici per arrivare alla mente e al cuore del ragazzo, la capacità di alternare approfondimenti teorici e esperienze pratiche, attraverso l’utilizzazione di tecniche multidimensionali: teatro, musica, sport, giochi di ruolo, concorsi artistici, discussione di film, partecipazione, volontariato.

Oggi i salesiani hanno a disposizione anche le nuove tecnologie, così coinvolgenti per i ragazzi e la possibilità di proporre forum on line, blog, chat sui temi di diritti umani.

Solo arrivando ai giovani con un’educazione ai e per i diritti umani come educazione alla cittadinanza responsabile in grado di scardinare l’angusto concetto di cittadinanza anagrafica e/o nazionale nel nome di una cittadinanza planetaria, avremo un mondo più giusto, più equo, più salubre.

A questa causa la Famiglia Salesiana può dare un contributo enormemente significativo.

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