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Non sono venuto a chiamare i giusti,
ma i peccatori

d. Joaquim D'Souza sdb
19-01-08

Nelle Memorie Biografiche di Don Bosco c’è un interessante episodio dell’infanzia di Giovannino che aveva appena compiuto quattro anni. Leggo l’episodio tratto dal primo volume delle Memorie Biografiche:
“In quell'età già era capace a rotondare pezzi di legno per farne pallottole e bastoncini pel giuoco della galla… Più di una volta però la palla, maneggiata da quelli inesperti ed imprudenti, lo colpiva nel capo o nella faccia, sicchè, soffrendo vivi dolori, correva in cerca della madre per farsi medicare. La buona Margherita appena l'avea dinanzi in quello stato: - Possibile! diceva; tutti i giorni ne fai qualcuna. Perchè vai con quei compagni? Non vedi che sono cattivi?
- È apposta per questo che io vado con loro; se ci sono io, stan più quieti, più buoni, non dicono certe parole.
- E intanto vieni a casa con la testa rotta.
- È stata una disgrazia.
- Sta bene; ma non andar più in loro compagnia. Madre....
- Mi hai inteso?
- Se è per farvi piacere non andrò più; benchè se mi trovo in mezzo ad essi fanno come voglio io, e non rissano più.
Già, capisco che verrai a farti medicare altre volte; ma bada - concludeva coi denti stretti e crollando leggermente il capo - bada che sono cattivi, sono cattivi. - E Giovannino immobile attendeva l'ultima parola della madre, la quale, dopo aver riflettuto alquanto, come se temesse di impedire un bene, dicevagli: - Va pure.” (MB I capo v, pagg.48-49)

“Sorprendente questa ragione sopra un labbro che ancora balbettava! – soggiunse il biografo con un commento apposito - Fin d'allora dipingevasi nella fantasia di essere in mezzo a numerosi fanciulli, che abitassero con lui, sui quali potesse avere imperio, che pendessero attenti dalle sue labbra, mentre parlava, che si facessero tutti buoni. Questa a lui sembrava l'unica felicità possibile sulla terra.”

In queste parole sembra rieccheggiare in un modo mirabile ciò che il misterioso Personaggio gli vorrà rivelare come sua missione nel fatidico sogno a nove anni – una missione che gli consegnerà il Buon Pastore, poiché prima di tutto è la Sua missione. Nel Vangelo d’oggi Gesù la dichiara senza mezzi termini: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mc 2:17). Secondo gli esegeti si tratta qui di una delle ipsissima verba di Gesù, che la prima tradizione ha conservato e tramandato, poiché esprime l’autocomprensione di Gesù, la coscienza intima della sua identità e della sua missione. Secondo la ufficiale pietà giudaica, rappresentata qui dai farisei, Gesù si è declassato mangiando con i pubblicani ed i peccatori. L’accusa dei farisei è duplice: non solo Gesù non mette in disparte i peccatori, rischiando così a contaminare sé stesso a contatto con gli impuri, ma, ciò che è peggio, egli mangia insieme a loro – e si sa tutto quello che nella cultura ebraica la convivialità significasse di associazione, di approvazione e persino di comunione tra i commensali.

La risposta di Gesù, “Sono venuto a chiamare, non i giusti, ma i peccatori”, implica la sua missione di servo-messaggero che è mandato a chiamare a nome del Re gli ospiti al banchetto di nozze. Gesù vede il suo condividere il pasto insieme ai peccatori alla luce del suo ruolo di “messaggero escatologico” di Dio, che proclama l’imminente venuta del Regno di Dio, e porta a nome di Dio l’invito ai peccatori al grande banchetto nuziale di Dio. E’ proprio ai peccatori che Gesù è mandato ad estendere l’invito da parte di Dio.

Ma il mangiare di Gesù insieme ai pubblicani ed ai peccatori va oltre il mero annuncio e invito al banchetto escatologico. La festa nuziale è già incominciata. Nella persona di Gesù e nella sua partecipazione alla mensa con i peccatori, il banchetto nuziale è già iniziato. E’ lui lo Sposo della festa nuziale. Prova di questo è la sua risposta – nel brano che viene subito dopo il nostro – a coloro che gli domandano perché i suoi discepoli non digiunano come fanno i farisei ed i discepoli di Giovanni Battista: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? (Mc 2:19) Nella comunione e nella convivialità con Lui, di cui il mangiare insieme è segno – ciò che i farisei hanno ben intuito, ma in un’altra ottica –, la misericordia e la salvezza di Dio raggiungono i peccatori.

C’è aria di festa dunque. C’è l’allegria, e la gioia, là dove c’è la presenza salvifica di Gesù, là dove si riconosce la propria peccaminosità da un verso e la misericordia di Dio in Gesù da un altro, e si accetta l’offerta della sua amicizia. In questo contesto la chiamata di Matteo significa l’assoluta gratuità dell’offerta di amicizia da parte di Gesù, e la radicalità della conversione da parte di Matteo. “Egli, alzatosì, lo seguì.” (Mc 2:14).

Qui tocchiamo il punto centrale di tutto il Vangelo, il suo valore fondamentale e universale: Ciò che Gesù è venuto ad annunciare è precisamente che la remissione dei peccati è acquisita non tanto dai rigori della penitenza (come la predicava Giovanni Battista), quanto dal restare con Lui, per accompagnarlo e seguirlo, cioè, entrare in comunione di vita con Lui, il che sbalordisce i farisei del suo tempo e di ogni tempo. Se il “Kerygma” è l’appello alla penitenza ed alla conversione, più che morale perché impegno di vita al seguito di Lui solo che salva dai peccati, allora la bontà di Gesù e l’accoglienza che fa ai peccatori è il Vangelo realizzato.

Come non vedere nella vita e nella provvidenziale missione di Don Bosco i riflessi di ciò che stavamo dicendo della vicenda di Gesù? Abbiamo visto la sorprendente affermazione di Giovannino nella sua tenera infanzia, che era quasi una precognizione del suo futuro destino. Ne vediamo un’altra attestazione negli anni più maturi. L’episodio in questione viene riferito ai primi anni dell’Oratorio di Valdocco e descritto nelle Memorie Biografiche (II 565-568). Si tratta del “caso di un quattordicenne, figlio di un padre ubriacone e anticlericale, che, capitato per caso all’Oratorio, si era gettato a capofitto nelle varie attività ricreative, ma si rifiutava di partecipare alle funzioni religiose, perché, secondo gli insegnamenti paterni, non intendeva divenire “muffito e cretino”. Don Bosco ne aveva guadagnato la confidenza con la tolleranza e la pazienza, tanto che “in poche settimane il birichino aveva mutati pensieri e costumi”. Il biografo commenta: “In quel tempo e in molti anni successivi quante volte si rinnovarono tali scene, vincendo Don Bosco colla sua paziente e prudente carità moltissimi cuori riluttanti e direi brutali, rimettendoli in grazia di Dio, e così rendendoli felici!” (BRAIDO Pietro, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, Roma: LAS, 1999, p. 219)

Non è questo lo spirito salesiano come viene sinteticamente tracciato nel articolo 11 delle nostre Costituzioni: spirito che trova il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo, apostolo del Padre, e che riproduce certi lineamenti della figura del Signore: la gratitudine al Padre per il dono della vocazione divina a tutti gli uomini; la predilezione per i piccoli e i poveri; la sollecitudine nel predicare, guarire, salvare sotto l’urgenza del Regno che viene; l’atteggiamento del Buon Pastore che conquista con la mitezza e il dono di sé; il desiderio di radunare i discepoli nell’unità della comunione fraterna?

Non è questo che la Strenna 2008 ci propone: La presenza animatrice tra i giovani, specie dei minorenni e degli emarginati – presenza che accoglie e costruisce communione; presenza che educa e evangelizza; presenza che accompagna e diventa proposta vocazionale, – tutti tratti che spiccano nella mensa che Gesù condivideva nella casa di Matteo? Ma affinché questo tipo di presenza si possa realizzare ancora nei nostri tempi, ci vogliono persone e comunità che ripartano da Cristo e prendano un’alta misura del proprio rinnovamento. Voglia il Signore che queste giornate di spiritualità salesiana ci aiutino a promuovere questo processo di rinnovamento, e i nostri cuori diventino luoghi e spazi dove i piccoli, i poveri e gli emarginati trovano la grazia e la misericordia di Dio

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