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EDUCARE CON IL CUORE DI DON BOSCO

Intervento conclusivo del Rettor Maggiore
Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana 2008

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Carissimi fratelli e sorelle,
membri tutti della Famiglia Salesiana,
amici di Don Bosco,

Durante questi giorni abbiamo voluto approfondire il programma spirituale e apostolico che ho dato alla Famiglia Salesiana per l’anno 2008; “Educare con il cuore di don Bosco per lo sviluppo integrale dei giovani, specialmente i più poveri e svantaggiati, promuovendo i loro diritti”. Cerchiamo ora di concludere queste giornate di riflessione, di preghiera, di convivenza con questo mio ultimo intervento.

Se già nel commento alla Strenna avevo scritto che questo tema era il più importante di quanti avevo proposto lungo il sessennio, anzi che le grandi sfide che vi avevo evidenziato, come quelle della famiglia e della vita, trovano la loro soluzione nell’educazione, oggi diversi nuovi elementi confermano la mia convinzione che siamo portatori di un carisma pedagogico che è più attuale e necessario che mai: il Sistema Preventivo di Don Bosco. Questo è il nostro tesoro, questo è l’apporto che siamo chiamati a dare ai giovani e alla società odierna, questa è la nostra profezia.

Emergenza Educativa

Per illustrare quanto detto sopra, vi dirò che alcuni giorni fa, nell’incontro del Santo Padre con il Sindaco di Roma, Walter Veltroni, Benedetto XVI, esprimendo la sua preoccupazione per la situazione di degrado della città sotto certi aspetti, ha parlato di “emergenza educativa”.

Ma che cosa si intende con questa espressione? Per avvalorare il mio pensiero, voglio citare qui alla lettera due brani di una conferenza tenuta dal Card. Cafarra il 6 novembre 2007, vale a dire recentemente, al Teatro Jolly di Castel San Pietro Terme (BO), dal titolo “Emergenza Educativa. Impegno, bellezza e fatica di educare”. Ecco le sue parole:

“Possiamo finalmente dire in che cosa consiste l’emergenza educativa in cui ci troviamo. Essa è data da due fattori. Da una parte la generazione dei figli chiede – e non può non farlo – di entrare dentro ad un universo vero, buono, bello; dall’altra parte la generazione dei padri è divenuta straniera all’universo di senso: non sa più che cosa dire. L’emergenza educativa è l’interruzione della narrazione che una generazione fa all’altra: è l’afasia della generazione dei padri e l’incapacità della generazione dei figli di articolare perfino la domanda che urge dentro al loro cuore. I padri non rendono presente nessuna tradizione, perché ne hanno perso la memoria, e diventano testimoni del nulla e trasmettitori di regole. I figli si trovano a vagabondare in un deserto privo di strade, non sapendo più da dove vengono e dove sono diretti.”

E dopo aver cercato di dare risposta alla domanda “Come uscire dall’emergenza educativa?” conclude:

“Avevo già sostanzialmente elaborato questa riflessione quando è apparso, in queste settimane, in libreria un libro di U. Galimberti: L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani [Feltrinelli, Milano 2007]. Per molti aspetti ci siamo trovati concordi; per altri e ben più decisivi, all’opposto. Quale è una delle tesi fondamentali del libro? Che sradicati dalla grande tradizione che li ha generati, i giovani si sono trovati in casa l’ospite più inquietante: il nichilismo. Non illudiamoci: questa è la condizione di molti giovani oggi. Ed allora?”

Devo dire che anch’io avevo ricevuto e letto questo libro di Umberto Galimberti e aveva suscitato in me esattamente la stessa reazione del Card. Cafarra. Da un canto il libro è venuto a confermare una interpretazione e valutazione che mi faccio della situazione odierna giovanile, almeno in alcuni paesi d’Europa, ma non solo, e, dall’altro, mi sono sentito in disaccordo soprattutto perché, mentre egli parla da psicologo sociale, io leggo la stessa realtà dalla prospettiva pedagogica e avendo alle spalle tutto il tesoro dell’esperienza di Don Bosco, del suo Sistema Preventivo e della sua inculturazione nel mondo.

Lo scorso fine settimana sono andato a Soverato per la celebrazione del Centenario della presenza salesiana in quella cittadina sulla costa ionica. Ebbene, una delle domande che mi fu posta da un giornalista fu: girando il mondo, quali sono state per lei le esperienze più belle nel suo rapporto con i giovani, e quali sono state le più tristi?

Non sto qui a ripetere la risposta, ma vi posso dire che mentre sono innumerevoli le esperienze indimenticabili di successo educativo, sono poche, ma drammatiche quelle negative, tutte segnate dalla mancanza di rispetto ai diritti umani. Basterebbe pensare agli adolescenti soldato nella Liberia o ai ragazzi sfruttati nel turismo sessuale nello Sri Lanka.

Perciò in questo mio intervento voglio attirare la vostra attenzione su due elementi assai importanti nell’applicazione del Sistema Preventivo oggi: il suo rapporto con i Diritti Umani e il bisogno di offrire una proposta educativa capace de lievitare e di generare cultura. Questo vi farà vedere meglio che cosa significhi oggi parlare di “emergenza educativa”: porre la società in stato di educazione se si vuole che abbia futuro e speranza.

Sistema Preventivo e Diritti Umani

“Non è difficile vedere nella teorizzazione del ‘progetto educativo’ e nella prassi pedagogica l’effettiva promozione dei diritti che sono proclamati dalle citate dichiarazioni internazionali: il diritto alla vita; il diritto all’educazione e all’istruzione; il diritto al riposo, allo svago e al gioco; il diritto al lavoro. In sostanza, prima della pubblica e solenne formalizzazione dei diritti dell’uomo e del fanciullo, Don Bosco ne ha plasticamente prefigurato la mappa essenziale e le linee applicative”.

Il card. Tonini ripeteva, ai giovani riuniti al Colle Don Bosco per il ‘Confronto 2001’: “Prima siamo uomini e dopo cittadini”. La vita ci affratella e il fatto di essere nati in America, in Europa, in Asia o in Africa è un accidente di seconda categoria. E questa vita che ci affratella e ci rende simili deve poter essere vissuta con la medesima dignità in ogni angolo della terra. Il diritto ad una “vita dignitosa per tutti” dev’essere l’idea-forza che ci porta ad impegnarci nell’educazione delle nuove generazioni.

La difesa della vita è l’asse che sottende gli odierni percorsi e le diverse ricerche intercomunicanti nelle varie situazioni sociali, politiche e culturali. La lotta per la difesa della vita dev’essere un ponte che unisce i ridotti limiti di sopravvivenza delle grandi masse impoverite agli ampi orizzonti di vita più piena, più umana e di migliore qualità di cui godono in pochi. Questi ideali devono essere presenti negli impegni educativi, se non vogliamo dimenticarci che siamo uomini e che la specie umana dev’essere la prima a essere protetta.

Nel 1948 nella sede delle Nazioni Unite ebbe luogo la proclamazione dei “Diritti Umani”. Alcune popolazioni non hanno ancora nemmeno sentito parlare di essi. Molti altri non li conoscono neppure, semplicemente perché i loro stessi governi sono i primi ad ignorarli e a calpestarli. Come possiamo parlare del diritto alla vita se le società più sviluppate sono le prime a immolare la vita innocente mediante aberranti leggi sull’aborto? Come parlare di educazione al rispetto dei diritti umani, quando vi sono masse enormi di bambini e adolescenti che non godono nemmeno del diritto all’educazione?

Nel novembre del 1989, a New York, si proclamarono i “Diritti del Minore”. Cito il secondo articolo, semplicemente per constatare quanto è lontana la realtà dalle buone intenzioni. È Il diritto a non essere discriminati: “La totalità dei diritti devono essere applicati alla totalità dei bambini senza eccezione, ed è obbligo dello Stato adottare le misure necessarie per proteggerli da qualsiasi discriminazione”. Che dire delle minoranze etniche delle selve amazzoniche; dei milioni di “ragazzi di strada” in America Latina; dei bambini che muoiono di fame in Africa o in Asia; dei minorenni venduti o sfruttati sessualmente? Dov’è l’infanzia, il diritto al gioco da parte dei bambini costretti a lavori ignominiosi all’età di cinque anni nelle miniere, o respirando sostanze tossiche nelle fabbriche di calzature o ripetendo gli stessi gesti durante lunghissime giornate di lavoro nelle fabbriche o alle catene di montaggio delle grandi multinazionali?

Continuamente sentiamo dire che l’umanità dispone di risorse sufficienti perché tutti gli abitanti della terra possano vivere con dignità. Eppure persistentemente le statistiche ci confermano, anno dopo anno, che il divario tra Nord e Sud aumenta, e mentre alcuni pochi nuotano nell’abbondanza e ammassano fortune, una grande massa di indigenti dispone di scarsissime risorse e riesce a malapena a sopravvivere al di sotto della soglia di ogni dignità umana.

È noto che gli interessi economici fissano le priorità della società materialista e che la pubblicità, l’incitamento al consumo è la bacchetta magica usata dall’insaziabile avidità delle multinazionali. Solo le società aggressive e competitive sussistono e questo stile è entrato anche negli enti e nelle associazioni educative. Cosa fare, allora?

L’educazione dev’essere sempre più una finestra spalancata sulla realtà mondiale e motore di sensibilizzazione e di trasformazione dell’umanità. Per questo, senza ideologizzazioni né manipolazioni, nelle aule si deve ascoltare la voce di coloro che non hanno voce, sentire la fame, la sete, vedere la nudità di tanti popoli dimenticati; con realismo e coerenza si devono far conoscere gli sforzi di tanta gente impegnata nelle grandi cause della dignità della donna, della pace, del rispetto del creato… Per fortuna da diverse situazioni ed istanze (ONG, Volontariati…) si comincia a convergere nella difesa della vita, dell’essere umano e dei suoi diritti, dei popoli e dei loro diritti, del pianeta e dei suoi diritti.

Alla base di tutte le nostre riflessioni vi è il dubbio se stiamo o no raggiungendo la qualità educativa che esige la nuova cultura, già presente nel nostro mondo, creatrice di un uomo e una donna culturalmente nuovi. Le nostre priorità devono andare alla formazione di persone veramente libere, critiche, impegnate socialmente, con capacità di servizio nei confronti dei fratelli, che trovano le loro motivazioni nel Vangelo, nella fede nell’Uomo Nuovo: Cristo Risorto. L’educazione sta perpetuando il vecchio sistema competitivo, oppure apre strade verso la partecipazione, la corresponsabilità, la solidarietà e la giustizia sociale?

Non sarebbe male fissare alcuni criteri da tenere presenti nella nostra educazione se vogliamo far sì che essa costituisca un meccanismo efficace di miglioramento della società. Il primo sarebbe: una mentalità critica come strumento per analizzare la realtà che ci circonda e per determinare tutto ciò che non ci sembra giusto e che desideriamo cambiare. Il secondo sarebbe la alterità, che deve permetterci di uscire da noi stessi per potere stabilire un rapporto ottimale con gli altri. Il terzo: il rispetto della Dichiarazione dei Diritti Umani, che può costituire punto di riferimento al momento di analizzare la realtà che viviamo ogni giorno o che ci viene offerta attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Il quarto può essere il fatto del coinvolgimento e dell’impegno, nel modo più compatibile con le nostre condizioni concrete, affinché i criteri suddetti non rimangano delle dichiarazioni di buona volontà.

Promuovere i diritti umani, in particolare quelli dei minorenni, è un cammino salesiano per la promozione di una cultura della vita e per il cambiamento delle strutture. Il Sistema Preventivo di Don Bosco ha una grande proiezione sociale: vuole collaborare con molte altre agenzie alla trasformazione della società, lavorando per il cambio di criteri e di visioni della vita, per lo sviluppo della cultura dell’altro, di uno stile di vita sobrio, di un atteggiamento costante di condivisione gratuita e d’impegno per la giustizia e la dignità di ogni persona umana. L’educazione ai diritti umani, in particolare ai diritti dei minori, è la via privilegiata per realizzare nei diversi contesti questo impegno di prevenzione, di sviluppo umano integrale, di costruzione di un mondo più equo, più giusto, più sano. Il linguaggio dei diritti umani ci permette anche il dialogo e l’inserimento della nostra pedagogia nelle diverse culture del nostro mondo.

Educazione e Cultura

“Il compito primario ed essenziale della cultura in generale e anche di ogni cultura è l’educazione. Questa consiste nel fatto che l’uomo diventi sempre più uomo, che possa ‘essere’ di più e non solamente ‘avere di più’, e che, di conseguenza, attraverso tutto ciò che egli ‘ha’ , tutto ciò che egli ‘possiede’, sappia sempre più pienamente ‘essere uomo’”.

L’educazione è un cammino specifico di umanizzazione, cioè di sviluppo della persona. Cerca di costruire l’uomo dal di dentro, liberandolo dai condizionamenti che potrebbero impedirgli di vivere pienamente la propria vocazione e abilitandolo per un’espansione delle sue capacità creative.

Lo sviluppo dell’uomo come persona passa necessariamente attraverso la cultura, intesa anzitutto come un modo di rapportarsi della persona con il mondo, con gli altri, con se stesso, con Dio, ma intesa anche come incontro con un patrimonio oggettivo di conoscenze, beni e valori, e infine come processo personale di assimilazione, rielaborazione, arricchimento.

Perciò la cultura non è un patrimonio fisso, universale e pacificamente accettato da tutti. Oggi abbiamo a che fare con società sempre più complesse, post-ideologiche, incerte, ma soprattutto multiculturali, con tutto il carico di ambiguità che quest’ultimo termine evoca in fatto di apertura o di chiusura alla diversità. C’è poi da tener presente lo scenario della globalizzazione, che stritola tutte le identità e progettualità locali. E allora, la sfida prossima ventura dell’educazione sarà appunto quella della mondialità e dell’interculturalità, dove il riconoscimento delle differenze e lo smontare gli stereotipi sarà una necessità e una risorsa educativa.

L’educazione è proprio la mediazione culturale capace di mettere a confronto le aspirazioni e le situazioni che oggi vivono i giovani con l’esperienza dell’umanità espressa nel patrimonio culturale e nella cangiante mondialità attuale. L’educazione salesiana è fondata su una scala di valori che proviene da una particolare concezione dell’uomo: la maturazione della coscienza attraverso la ricerca della verità e l’adesione interiore ad essa; lo sviluppo della libertà responsabile e creativa attraverso la conoscenza e la scelta del bene; la capacità di relazione, solidarietà e rapporto con gli uomini, basata sul riconoscimento della dignità della persona umana; l’abilitazione alle responsabilità storiche, fondata sul senso della giustizia e della pace.

Le opere salesiane sono ambienti di educazione e di cultura, in cui si offre un sapere che renda i giovani consapevoli dei problemi del mondo di oggi, sensibili ai valori e costruttivamente critici; in cui i giovani acquistano atteggiamenti che permettono loro di agire come uomini liberi e con capacità che li rendono competenti ed efficaci nell’azione.

È ben nota la situazione di incredulità in cui cresce oggi la maggior parte dei giovani europei. E questa incredulità ha una straordinaria rilevanza culturale. Basta affacciarsi al mondo della letteratura o del cinema. È difficilissimo trovare, negli ultimi decenni e nelle opere più rappresentative o di successo, qualche produzione i cui protagonisti ricevano dal cristianesimo l’ispirazione per la vita o per la dignità della loro esistenza. L’esperienza religiosa viene presentata, con toni ridicoli e peggiorativi, come un fenomeno di infantilismo e di senso di colpa. Ciò nonostante, per noi Cristo è la migliore notizia e il dono più prezioso che possiamo dare al mondo; in Lui l’uomo raggiunge la massima dignità, in quanto viene riconosciuto come figlio di Dio e le frontiere della sua esistenza si dilatano fino all’eternità. Perciò l’obiettivo finale dell’educazione è l’evangelizzazione come sintesi tra fede e cultura, tra fede e vita. Gli ambienti educativi salesiani cercano di avviare un dialogo vitale e un’integrazione tra sapere, educazione e Vangelo. Nella disparità di concezioni e di prospettive, l’educazione fa del riferimento a Cristo un criterio di valutazione per discernere i valori che edificano l’uomo e i controvalori che lo degradano. Infatti, è soprattutto l’irrilevanza della fede nella cultura e nella vita che fa diventare i giovani indifferenti o estranei al mondo religioso, rende insignificante la domanda su Dio, svuota il linguaggio religioso del suo senso e tende a vanificare ogni impegno di educazione integrale e di evangelizzazione.

Per molti secoli la fede cristiana ha ispirato in Europa la riflessione dei pensatori, le opere degli scrittori, le creazioni degli artisti e le composizioni dei musicisti. Con grande temerità (o piuttosto con cinismo, dato che non si tratta di ignoranza) oggi si pretende di negare le radici cristiane della cultura europea. Purtroppo è da molto tempo che si sente la mancanza di una presenza testimoniale ed efficace di cattolici nei distinti ambiti della creazione e diffusione della cultura. Mancano politici, scrittori, professori, medici, poeti, giuristi, giornalisti e altri professionisti cattolici. Se l’incredulità attuale ha una fortissima rilevanza culturale nel mondo occidentale, è evidente che il cattolico deve fare della cultura un campo in cui essere presente, con impegno e testimonianza. Occorrono militanti, fermento cattolico nel mondo dell’arte, del pensiero e della comunicazione sociale, capaci di dare nuovo prestigio all’evento cristiano. “La Chiesa – ha detto Giovanni Paolo II – sollecita i fedeli laici ad essere presenti all’insegna del coraggio e della creatività intellettuale, nei posti privilegiati della cultura, quali sono il mondo della scuola e dell’università, gli ambienti della ricerca scientifica e tecnica, i luoghi della creazione artistica e della riflessione umanistica”.

L’educatore “secondo il cuore di Don Bosco” è consapevole che il processo educativo è lo spazio privilegiato in cui avviene la promozione totale della persona e in cui la fede è proposta ai giovani. Nell’insegnamento illumina il sapere umano con i dati della fede, senza distoglierlo dall’obiettivo che gli è proprio e ripensa, in vista dell’educazione alla fede, sia il senso complessivo della cultura, sia l’insegnamento delle singole discipline, sia gli stessi rapporti personali e all’interno dei gruppi.

Perciò nel processo educativo cerca di sviluppare la cultura del singolo come capacità di comunione e di ascolto degli uomini e degli avvenimenti, come dovere di servizio e di responsabilità verso gli altri e non come mezzo di affermazione e arricchimento. L’educatore salesiano aiuta a scoprire la profonda coerenza tra la fede e i valori che la cultura persegue: rileva la funzione del Vangelo nella cultura: elevarne le espressioni autentiche, rigenerare e trasformare gli aspetti meno umani; abilita agli atteggiamenti che predispongono i giovani ad una comprensione vitale e ad una risposta favorevole al Vangelo.

Conclusione

Permettetemi di concludere con un poemetto di Gabriella Mistral, breve ma pieno di senso profetico, che dà ragione del perché oggi più che mai si debba parlare di “emergenza educativa” e come oggi più che mai la via di uscita si trovi nel cuore di Don Bosco:

His Name is “Today”

We are guilty of many errors, of many faults,
But our worst crime is abandoning the children,
Neglecting the fountain of life.

Many of the things we need can wait.
The child cannot.
Right now is the time his bones are being formed,
His blood is being made and his senses are being developed.
To him we cannot answer “Tomorrow”.

His name is “Today”.
Gabriella Mistral
Nobel Prize-winning poet from Chile

Per tutti voi invoco dal Signore la grazia di un cuore di educatore come quello di Don Bosco. A tutti voi l’augurio di un fecondo lavoro educativo pastorale.

Roma, 20 gennaio 2008
Don Pascual Chávez Villanueva
Rettor Maggiore

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