LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE

«Perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Giov. 10,10)

CINQUE FRUTTI DEL BICENTENARIO

Roma, 25 luglio 2015

Festa di San Giacomo, Apostolo

1.  Un Anno di grazia con tanti frutti. – 2. Perché, quasi senza rendersene conto, si va conoscendo la Congregazione più in profondità. – 3. Questi i frutti maturi del Bicentenario. – 3.1. Sogno una Congregazione di Salesiani felici. – 3.2. Sogno una Congregazione con Uomini di Fede e pieni di Dio.  3.2.1. Un cammino di fede e di ricerca di Dio. - 3.2.2. Rimanere, Amare, Portare frutto. – 3.3. Sogno una Congregazione di Salesiani appassionati dei giovani, i più poveri.  3.3.1 Perché lungo gli anni sempre abbiamo detto e ricordato qual è il cammino della nostra fedeltà. - 3.3.2. Cercando sempre il servire, mai il potere o il denaro. – 3.4.  Sogno una Congregazione di veri Evangelizzatori ed Educatori nella Fede. – 3.5. Sogno una Congregazione sempre missionaria. 3.5.1. Perché è qualcosa di costitutivo che ci caratterizza. - 3.5.2. Perché i tempi che viviamo lo chiedono fortemente.

1. UN ANNO DI  GRAZIA CON TANTI FRUTTI

Miei cari confratelli,

È  possibile che quando vi giunga questa lettera abbiamo già celebrato al Colle Don Bosco, con varie migliaia di giovani, la chiusura di questo anno del Bicentenario della nascita di Don Bosco, che avevamo aperto in forma ufficiale pure al Colle Don Bosco il passato 16 agosto 2014.

Certamente, in quel che resta di questo anno 2015, si vivranno ancora momenti e celebrazioni nei più diversi luoghi del nostro mondo salesiano.

Io avevo scritto nella lettera del n. 419 degli ACG che l’anno che avevamo inaugurato come celebrazione dei 200 anni dalla nascita di Don Bosco avrebbe avuto un doppio volto: uno esteriore, più pubblico e ufficiale, e un altro interiore, più intimo.

In sintonia con quanto scrive il Papa Francesco come messaggio per l’apertura dell’Anno della Vita Consacrata, un primo obiettivo è di “guardare il passato con gratitudine”[1], e  si potrebbe dire che noi lo abbiamo applicato testualmente alla nostra celebrazione del Bicentenario, perché abbiamo voluto viverlo come “una opportunità per sentirci grati al Signore perché, duecento anni dopo la nascita di Don Bosco, ci troviamo qui, come dono di Dio per i giovani”[2]. E in questo volto esterno, ufficiale e pubblico delle centinaia di celebrazioni di ogni tipo che hanno avuto luogo nei paesi dove c’è una casa salesiana, abbiamo potuto riconoscere e ringraziare per questo dono di Dio che Don Bosco è per la Chiesa e il mondo.

Ma io desidero riferirmi in questo momento piuttosto a quell’altro volto del Bicentenario, più interiore, più intimo, e che mi porta a pensare, desiderare e sognare quale traccia profonda starà lasciando l’aver vissuto questo evento unico, veramente storico, nella nostra vita, nel cuore di ciascuno dei miei confratelli SDB, e nel mio proprio cuore.

E questo è ciò che mi porta a sognare. Sogno alcuni frutti della celebrazione del Bicentenario, come esporrò di seguito.

2. PERCHÉ, QUASI SENZA RENDERSENE CONTO, SI VA CONOSCENDO LA CONGREGAZIONE PIÙ IN PROFONDITÀ

Mi permetto di sognare alcuni frutti del Bicentenario che considero generatori di vita, perché mi vado rendendo conto che, molto prima che possa visitare tutti i paesi e tutte le Ispettorie, già vado conoscendo, con ragionevole approssimazione, la realtà della nostra Congregazione.

Da quando è terminato il CG27 il 12 aprile 2014 e compiuta la prima sessione plenaria del Consiglio Generale, ho potuto visitare, fino ad oggi, 27 nazioni - 8 nell’anno 2014 e 19 nel periodo trascorso di quest’anno 2015 -  arrivando a un totale di 32 in questo anno e mezzo, se il Signore lo permetterà. Certamente non è stata una casualità, ma deliberatamente programmata, cosciente che l’esigenza era quasi eccessiva, ma necessaria a motivo della singolarità di questo anno.

Alla visione che mi permette di avere ciascuna delle visite alle Ispettorie, si aggiunge la conoscenza che proviene dalle “radiografie” che sono, di fatto, le consultazioni che si fanno nelle Ispettorie per le nomine dei nuovi Ispettori e tutte le informazioni e vedute che i confratelli stessi offrono riguardo alla Ispettoria in queste consultazioni. Sono stati 21 i nuovi Ispettori nominati in questi quindici mesi.

Ho avuto pure la opportunità, insieme al Consiglio Generale, di approfondire la conoscenza di alcune Ispettorie dopo le 7 Visite straordinarie che si sono realizzate e lo studio profondo che abbiamo fatto di due Regioni, quelle dell’Asia Sud e dell’Asia Est e Oceania.

Per tutto questo vi direi, miei cari confratelli, che con tutto ciò che ho potuto visitare, conoscere, vedere personalmente, leggere e ascoltare da quanti mi consigliano, mi sento capace di sognare una Congregazione, la nostra, nella quale il Signore e Don Bosco, sempre con lo sguardo materno della nostra Madre Ausiliatrice, ci regalano questi frutti del Bicentenario della nascita di Don Bosco.

3. QUESTI I FRUTTI MATURI DEL BICENTENARIO

3.1. Sogno una Congregazione di Salesiani felici

Vi invito fin da questo primo momento, a superare la tentazione, peraltro tanto umana, di pensare negativamente, pensare che dico questo perché noi salesiani non siamo felici.

Tutto al contrario! Non si tratta di questo. Sono convinto che la maggioranza di SDB siamo felici, molto felici nel vivere la nostra vocazione. Includo me stesso, perché anch’io sono molto felice. Però credo che dobbiamo arrivare ad una maggior felicità, e da parte di tutti, senza che nessun confratello resti al margine del cammino sentendo che egli non può, o che questa meta non è per lui. Questa meta è per tutti, dato che umanamente questo profondo desiderio risuona nel cuore di ogni uomo e donna, fin da quando siamo stati chiamati alla vita.

È per questo che mi permetto di comunicarvi questo mio grande sogno. Quello di una Congregazione, la nostra, nella quale ogni salesiano possa dire a se stesso, nel più profondo del suo essere, del suo cuore, nella sua verità più intima:” sono felice e mi sento molto vivo e molto pieno di gioia vivendo come Salesiano di Don Bosco”

Il Papa ci propone, come religiosi, questo programma: “Essendo gioiosi, mostrate a tutti che seguire Cristo e mettere in pratica il Vangelo riempie il vostro cuore di felicità. Contagiate con questa gioia quelli che vi avvicinano”[3].

E credo, miei cari confratelli, che si tratta di questo: di vivere più intensamente e gioiosamente la nostra vita. Posso dirlo con le mie parole, ma già lo abbiamo detto nel nostro ultimo Capitolo Generale nel quale davamo grazie a Dio “per la fedeltà di tanti confratelli e per la santità riconosciuta dalla Chiesa ad alcuni membri della Famiglia Salesiana. Veniamo ogni giorno a contatto con adulti e ragazzi, confratelli, giovani e anziani, in piena attività e ammalati, che testimoniano il fascino della ricerca di Dio, la radicalità evangelica vissuta nella gioia e con una viva passione per Don Bosco”[4]. È il dono che abbiamo nella nostra Congregazione: le migliaia e migliaia di confratelli che ogni giorno danno vita e danno la propria vita con meravigliosa generosità. Provo dispiacere per la sofferenza di confratelli che non si sentono così. Ci sono confratelli salesiani che trascinano nella loro vita e nel loro cuore delle ferite, confratelli che si sentono dannati, che manifestano sofferenza! Quanto mi piacerebbe che con la forza che viene  dal Signore e  con l’affetto e la vicinanza di qualche altro confratello potessero aver fiducia e sperare nuovamente qualcosa di buono nella propria vita. Ci sono confratelli che stanno attraversando situazioni difficili o hanno perso quella passione del primo Amore che tutti abbiamo sentito nella chiamata del Signore; ci sono magari dei confratelli che stanno camminando in qualche direzione che non porterà loro nulla di buono come Salesiani di Don Bosco! Quanto mi piacerebbe che questi confratelli si lasciassero toccare da Dio per “andare più in là”; quanto mi piacerebbe che si lasciassero sorprendere da Dio, che senza dubbio ci conduce sempre a situazioni di vita che sono più in là dei nostri calcoli!

Cari confratelli, sia più o meno grande la nostra conoscenza di Don Bosco, tutti abbiamo la certezza di quanto importante era per Don Bosco l’allegria e la felicità dei suoi salesiani e dei suoi giovani, non esente da sacrifici e, certamente, con quel punto centrale ed essenziale che è il vivere in Dio e di Dio. Noi abbiamo preso le più importanti e trascendentali decisioni nella nostra vita, arrivando al culmine con il nostro Sì al Signore e, ciò posto, tutto il resto deve essere un aiuto per vivere a “pieni polmoni”, per vivere più in pienezza, per vivere sentendosi più pieni di significato e felici.

Già il CGS20, citando la Evangelica Testificatio, più di 30 anni fa, ci diceva  che “la gioia di appartenere a Dio per sempre è un incomparabile frutto dello Spirito Santo, che voi avete già assaporato. Animati da questa gioia… sappiate guardare con fiducia all’avvenire”[5].

In verità, cari confratelli, ciò che sto esprimendo con questo sogno di felicità di ciascuno di noi è che la nostra bella vocazione e dedizione non sia solo un lavoro, a volte molto segnato da straripamento, a volte da una attività estrema che sfiora o arriva all’”attivismo”, e che può spegnere in noi la fiamma accesa e può condurci  a quel “grigiore prammatico” di cui parla Papa Francesco. Sto sognando in ciascuno di noi una vocazione vissuta come la visse Don Bosco, dimenticandosi di sé e pieno di passione per Dio e per i giovani.

Di fatto Don Bosco ebbe, tra le sue genialità, la grande capacità di offrire “ai giovani emarginati del suo tempo la possibilità di sperimentare la vita come festa e la fede come felicità”[6].

Come potete immaginare, questo mio sogno per ciascuno di noi ha molto a che vedere con quello che ho già potuto vivere in questi 15 mesi come Rettor Maggiore, pensando a ciascuno dei nostri confratelli. Non posso nascondervi, per esempio, che il mio cuore si rattrista ogni volta che un confratello salesiano sacerdote mi scrive chiedendo di avviare il suo inserimento in una Diocesi, avendo cercato prima il Vescovo adatto alle sue aspettative. Mi dico: che resta in questi casi dell’amore a Don Bosco e dell’entusiasmo  col quale ci siamo fatti salesiani? Ciò che si è vissuto finora è stato solo un lavoro pastorale che facilmente si può cambiare con un altro…? E mi viene in mente la scena del giovane Giovanni Cagliero dibattendo con forza nel suo interno mentre camminava nel cortile di Valdocco davanti alla proposta che poco prima gli aveva fatta Don Bosco. Tale proposta era stata, come sappiamo, quella di formare una società religiosa in cui si sarebbero chiamati salesiani. Dopo il dibattito personale esclama la ben nota frase: “frate o non frate, io sto con Don Bosco”.

Penso a quel 14 maggio 1862, giorno della prima professione salesiana emessa da 22 giovani insieme con Don Bosco (MB VIII, 161). Erano semplici ragazzi cresciuti a lato di Don Bosco. Essi hanno avuto il coraggio di dar inizio ad una nuova Congregazione Religiosa e fare la loro professione con grande entusiasmo, con fiducia in ciò che Don Bosco faceva loro vedere.

Non cessa di commuovermi il pensare alle nostre origini, e conferma la forte convinzione che ho che dando a Dio il Primato nella nostra vita, e tenendo nel nostro cuore i giovani, specialmente i più poveri e quelli che più hanno bisogno di noi, siamo abboccati – quasi mi permetterei di dire “deterministicamente” – alla felicità come salesiani di Don Bosco. Lo credo veramente perché è certo, come si dice nel documento di ‘Aparecida’, che “la vita si accresce donandola e si indebolisce nell’isolamento e nelle comodità. Di fatto, quelli che maggiormente fruiscono della vita sono quelli che lasciano la sicurezza della riva e si appassionano alla missione di comunicare vita agli altri”[7].

3.2. Sogno una Congregazione con Uomini di Fede e pieni di Dio

Perché questo sogno? È perché non siamo così?, potreste chiedermi.

Nuovamente devo dirvi che sono convinto della profonda fede e senso di Dio di migliaia e migliaia di nostri confratelli salesiani. E perché allora questo sogno? La risposta è questa: pensando alla globalità della nostra Congregazione diffusa nel mondo, qualcosa di delicato cui senza dubbio dobbiamo dare attenzione è che in molte parti, in molti dei paesi dove ci troviamo e lavoriamo con tanta dedizione e generosità,  ci si conosce per il lavoro che portiamo avanti, ma si ignora o si disconosce perché facciamo ciò che facciamo e dov’è la motivazione profonda di vita. Ci si ammira per il lavoro coi giovani, si apprezzano immensamente le nostre reti di scuole, e tra esse la formazione professionale e al lavoro. Si guarda con tanto rispetto e adesione il nostro impegno con i ragazzi della strada, si loda la dedizione e la creatività di molti dei nostri oratori, si ha grande attenzione alla realtà delle nostre case famiglia, case e residenze per ragazzi poveri, ecc.

Però tante volte non sanno dire chi siamo e ancor meno perché facciamo quel che facciamo e perché viviamo come viviamo. E questo è il mio sogno: che chiunque si incontra con un religioso salesiano, o chi entra in relazione con una delle nostre comunità, possa sentirsi toccato dalla presenza di uomini di fede, di profonda e provata fede che, nel loro semplice vivere ed agire, quasi senza volerlo, lasciano trasparire la loro condizione di religiosi, di uomini consacrati da e per Dio, e da Lui consacrati ai giovani.  

3.2.1. Un cammino di fede e di ricerca di Dio

Credo, fratelli, che questa preoccupazione e sensibilità non è nuova. Nei documenti della nostra Congregazione possiamo vedere come la ‘grande battaglia’ del CGS20 fu, precisamente, la tensione tra consacrazione e missione. E si portò a termine un magnifico lavoro, alla luce del Vaticano II, per vedere in maniera nuova e in profondità l’identità del nostro carisma e scoprirlo nella ricchezza delle nostre nuove Costituzioni. Furono molti anni di discernimento, in tre Capitoli Generali. Il CGS20 e il CG21 che, con saggezza, considera insufficiente il tempo di sperimentazione  di sei anni per le nuove Costituzioni e lo prolunga per altri sei, e il CG22 in cui già si era avuta una maturazione profonda del concetto di consacrazione come ‘Azione di Dio’

Penso che nella nostra Congregazione non abbiamo nessun problema quanto alla nostra identità carismatica e all’armonia tra tutti gli elementi che la integrano. Dalle nostre Costituzioni fino a tanti altri scritti troviamo un arco abbondante di elementi che ci illuminano e ci arricchiscono.

La chiave sta nel vivere in maniera armonica la nostra identità. Tante volte abbiamo detto e ricordato  che né noi siamo dei lavoratori sociali, né le nostre opere sono posti di servizi sociali, per quanto sia grande il bene che facciamo in esse e attraverso esse. Siamo, anzitutto, credenti, consacrati da Dio nella nostra condizione di religiosi, e “quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua vita nuova. Allora ciò che avviene è che, in definitiva, ‘quel che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo’ (1 Gv 1, 3)”[8].

Sono grandemente convinto, fratelli, che questo è il cammino di cui abbiamo maggior necessità oggi. Quello di curare, alimentare e approfondire la nostra fede (essere uomini di fede), che facciamo tutto ciò che facciamo perché ci siamo sentiti attratti e affascinati da Gesù, e liberamente abbiamo sentito la profonda gioia di dire sì a Dio Padre, che ci consacra anche nella professione religiosa (uomini pieni di Dio)[9].

Leggendo tempo fa alcune pagine sulla vita religiosa mi destò profonda impressione il racconto di una religiosa che narrava che in una certa occasione in Vienna un superiore aveva parlato di un ateismo della vecchiaia in alcuni religiosi e religiose, e questa sorella affermava di temere che tutti conosciamo qualche religiosa (e anche religioso, dobbiamo dire per essere giusti[10]), che appena aprono bocca si affaccia la scontentezza …, e potremmo dire che rappresenta la segreta delusione rispetto a Dio …, E si domandava: “forse il nostro pensare, giudicare e agire non sono determinati, di frequente, da una fede addormentata, da una relazione senza amore al nostro Dio?”[11].

Davanti a questa testimonianza risuona in me la domanda del salmo: “Dov’`e il tuo Dio?” (Salmo 42,4), o quella che noi possiamo fare: dove ti trovo, mio Dio? E questa mi sembra la questione e situazione vitale alla quale dobbiamo prestare molta attenzione, sia personalmente che comunitariamente, perché neppure il lavoro tra i ragazzi e i giovani ci rende immuni da una vita senza amore a Dio, o con la ‘segreta delusione rispetto a Dio’.

  

3.2.2. Rimanere, Amare, Portare frutto

 

Questi tre verbi, nel contesto della Icona della Vite e i Tralci (Gv 15, 1-11) che è stata tanto presente nel nostro ultimo Capitolo Generale, ci invitano a prendere coscienza della necessità  di essere profondamente radicati in Gesù per rimanere fortemente in Lui, e da Lui vivere una fraternità che sia veramente attraente, e che ci porti a servire i giovani.

Per questo, sognarci veramente una Congregazione di uomini che vivano di Fede e pieni di Dio, è pensarci con questo desiderio di far realtà il Primato di Dio nelle nostre vite senza mai dimenticarci che dobbiamo essere, al di sopra di tutto, “cercatori di Dio”[12], e testimoni del Suo Amore in mezzo ai giovani e tra essi i più poveri.

Le nostre preziose Costituzioni, come Vangelo letto in chiave salesiana, sono attraversate da questo senso di Dio e questa chiamata alla fede, come lo fu, in maniera totalizzante, nella vita e missione di Don Bosco.

In esse leggiamo che lavorando per la salvezza dei giovani facciamo esperienza della paternità di Dio (Cost. 12), mantenendoci in dialogo semplice e cordiale con Cristo Vivo e con il Padre, che sentiamo vicino. E così ciascuno di noi, consapevole della chiamata di Dio a far parte della Società Salesiana (cfr. Cost. 22) e vivendo il segno dell’incontro dell’amore tra il Signore che chiama e il discepolo che risponde, realizza una scelta tra le più alte che può fare un credente (cfr. Cost. 23). Allo stesso tempo, immerso nel  mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale, il salesiano impara a incontrare Dio attraverso quelli ai quali è inviato (cfr. Cost. 95).

Fratelli, con la luce che ci danno le nostre Costituzioni non credo necessario aggiungere altro riguardo a questo sogno. Ripeto soltanto l’invito che vi facevo alla chiusura del Capitolo Generale, Con profonda convinzione nel mio primo intervento – nel cosiddetto discorso finale, che ha una chiara intenzione programmatica – vi dicevo che mi rifiuto di ritenere che la “fragilità che constatiamo nel vivere il primato di Dio nella nostra vita” sia qualcosa di proprio del nostro DNA salesiano. No, vi dicevo in quel momento, e lo ripeto ora. Non lo è, perché non lo fu per Don Bosco; al contrario egli visse tutta la sua vita con profonda fede, pieno di Dio, e per questa ragione dando la sua vita fino all’ultimo respiro, sempre a favore dei suoi giovani. Visse radicalmente coinvolto nella trama di Dio[13]. Questo è il mio sogno oggi per la nostra Congregazione e per ciascuno di noi, salesiani di Don Bosco.

3.3. Sogno una Congregazione di Salesiani appassionati dei giovani, i più poveri. 

Questo è un altro dei sogni, frutto chiaro del vivere questo Bicentenario.

Sono convinto che è preziosa la testimonianza di tanti confratelli che danno la vita ogni giorno con vera passione educativa ed evangelizzatrice a favore dei giovani; sono convinto che sono tante le presenze salesiane che guardano con predilezione ai più poveri.

Rendo grazie al Signore per questo e vi dico, come precedentemente: Fratelli, dobbiamo “andare più in là”. Dobbiamo essere tutti i salesiani quelli che, con un cuore come quello di Don Bosco, con quel cuore come quello del Buon Pastore, diamo il meglio di noi in favore dei giovani. E devono causarci dolore le case salesiane che in maniera diretta o indiretta non sono al servizio dei più poveri. Dobbiamo essere creativi perché tutto ciò che facciamo, pensiamo e decidiamo, in qualche modo arrivi a loro, a quelli ce hanno più necessità.

Il Papa Francesco dice nel messaggio già citato: “Svegliate il mondo, illuminandolo con la vostra testimonianza profetica e controcorrente”[14].

Penso veramente che la nostra maniera salesiana di illuminare il mondo in modo profetico e controcorrente è con questa radicalità in tutti noi e in tutte le nostre presenze. E non abbiate il minimo dubbio che vivendo e lavorando così, anche senza necessità di parole, il messaggio è interpellante e con grande forza testimoniale; e non abbiate dubbi che non mancheranno i mezzi per arrivare ai più poveri. Ricordiamo la solida fiducia di Don Bosco nella Divina Provvidenza, quando, certamente, diamo i motivi perché questa arrivi.

3.3.1. Perché lungo gli anni sempre abbiamo detto e ricordato qual è il cammino della nostra fedeltà

Con questo titolo voglio rilevare come sempre c’è stato in Congregazione un Magistero che ci ha orientato alla opzione preferenziale per i giovani più poveri. Poi, ogni confratello, ogni comunità locale o ispettoriale, e al centro stesso della Congregazione, dobbiamo farlo diventare realtà. Papa Francesco ci ricorda che la speranza alla quale egli ci invita non si fonda sui numeri o sulle opere ma su Colui nel quale abbiano posto la nostra fede (cfr. 2 Tim 1,12) e ci invita a non cedere alla tentazione dei numeri o dell’efficienza e meno ancora a confidare nelle nostre proprie forze[15].

Nelle nostre Costituzioni sono sette gli articoli che fanno riferimento ai giovani più poveri come nostri destinatari preferenziali, e altri cinque che indirizzano lo sguardo alla necessità di essere solidali con i poveri. Nei nostri Capitoli Generali troviamo un succedersi nel tempo  di richiami a questa “opzione fondamentale” (come è stata chiamata nell’Assemblea dei Vescovi dell’America Latina di Puebla). Il CGS20 ci parlò di incanalare le nostre forze verso i giovani più poveri e gli adulti con maggiori necessità, cioè quelli che hanno meno possibilità di vivere la vita secondo i disegni di Dio[16]. Il CG21 invita ad avviare nuove presenze in ambienti di emarginazione[17], e il CG22 chiede in una deliberazione ispettoriale di “ritornare ai giovani, al loro mondo, ai loro bisogni, alla loro povertà. Diano ad essi una vera priorità, manifestata in una rinnovata presenza educativa, spirituale ed affettiva. Cerchino di fare una scelta coraggiosa di andare verso i più poveri, ricollocando eventualmente le nostre presenze dove maggiore è la povertà”[18]. Allo stesso modo il CG23, centrato nel educare i giovani alla fede, chiede ad ogni Ispettoria di individuare nuovi e urgenti fronti, con qualche presenza come "segno" del nostro andare verso i giovani più lontani[19].

È bello constatare come si sono  fatti passi in molte Ispettorie integrando e incorporando in questo cammino confratelli di molte e svariate sensibilità. Se è così, che cosa ci resta ancora da fare? La risposta è di continuare questo cammino di ascesa fino…, finché a ogni salesiano dispiaccia che un ragazzo povero, una ragazza povera non trovi il suo posto nella casa salesiana, nelle case di Don Bosco! Finché a ogni salesiana rincresca nell’animo di non curare ogni ragazzo o ragazza povera che ha bisogno di noi. Se il nostro cuore sente questo, non dubitiamo che sempre troveremo soluzioni e sempre saremo molto fedeli a questa scelta per i giovani più poveri.

3.3.2. Cercando sempre il servire, mai il potere o il denaro

Mi immagino, fratelli, che la maggior parte di voi avrà letto e meditato la Esortazione Apostolica Evangelii Gaudiun. Se non avete ancora potuto farlo, vi incoraggio alla sua lettura e meditazione. Non dubito che ne trarrete molto frutto. Di essa ho meditato recentemente il secondo capitolo, in quanto si riferisce alla ricerca del potere e l’idolatria del denaro.

  Con grande bellezza le nostre Costituzioni esprimono quali sono i giovani ai quali siamo inviati: “Il Signore ha indicato a Don Bosco i giovani, specialmente i più poveri, come primi e principali destinatari della sua missione… e con  Don Bosco riaffermiamo la preferenza per la gioventù povera, abbandonata, pericolante, che ha maggior bisogno di essere amata ed evangelizzata, e lavoriamo specialmente nei luoghi di più grave povertà” (Cost. 26).

  Alla luce di questa espressione pure fondamentale ed essenziale del nostro carisma, vi dico, fratelli, che quando percorriamo questa strada non dobbiamo preoccuparci per la identità della nostra missione e per la nostra fedeltà. Siamo sulla buona strada. Se al contrario non ci preoccuperemo di stare con i giovani poveri, quelli che hanno più bisogno di noi, e staremo comodi ad aver potere e mezzi economici, dovremo impaurirci. E devo dirvi che io mi sento preoccupato di fronte a casi di confratelli che vivono l’autorità non come servizio ma come potere, non come servizio ma come forza che permette di avere e fare cose, tanto più se si hanno in mano risorse economiche, o si cerca che sia così. Più avanti mi riferirò nuovamente a questo per spiegare che cosa voglio dire.

Nella Evangelii Gaudium il Papa cita con grande forza un testo classico. È un Padre della Chiesa, San Giovanni Crisostomo, che dice: “Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”[20].Il Papa ci richiama la globalizzazione della indifferenza che rende incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, in una cultura del benessere che ci anestetizza (EG 54). Con grande forza richiama la nostra attenzione alla cultura dello “scarto” alla quale socialmente abbiamo dato inizio, nella quale gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi” (EG 53), e ci avverte della nuova idolatria del denaro che chiama una versione nuova e spietata dell’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr. Es 32, 1-35), giungendo ad affermare che “la brama del potere e dell’avere non conosce limiti” (EG 56). Arriva a dire in forma chiara che “il denaro deve servire e non governare” (EG 58).

Il Papa pensa alla Chiesa e al mondo. Io dirigo lo sguardo a qualcosa di molto più piccolo, come la nostra Congregazione, e sono convinto che è nel servizio e nella ricerca del bene dei nostri ragazzi e ragazze, specialmente i più poveri, dove si trova la nostra forza. È umano cadere nella tentazione di fondare la nostra speranza nei numeri, nelle opere, nell’efficienza, però non è la nostra strada. “Non ripiegatevi su voi stessi – dice il Papa – non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa, non rimanete prigionieri dei vostri problemi…  C’è un’umanità intera che aspetta: persone che hanno perduto ogni speranza, famiglie in difficoltà, bambini abbandonati, giovani ai quali è precluso ogni futuro, ammalati e vecchi abbandonati, ricchi sazi di beni e con il vuoto nel cuore, uomini e donne in cerca del senso della vita, assetati di divino”[21].

Che sfida grande e precisa per noi! È per quella che sogno la nostra Congregazione dopo il Bicentenario di Don Bosco come quella porzione di Chiesa che vede se stessa fedele nel servizio, l’umiltà, la povertà e i mezzi economici unicamente al servizio della missione educativa ed evangelizzatrice. Per questo chiedo soltanto che ci aiutiamo mutuamente. Che ci aiutiamo quando qualche volta l’autorità si vive più come potere che come servizio. Che ci aiutiamo quando si cerca di aver cariche, esser dirigenti; aiutarci quando si corre il pericolo di cercare, quasi come finalità che dà significato nella propria vita, il “managerismo’’, l’essere esecutori di opere (per quanto diciamo che è per il bene degli altri). Dobbiamo aiutarci quando il denaro serve per aver forza, potere di decisione sulle cose e le persone; dobbiamo aiutarci quando l’uso e il maneggio del denaro e dei mezzi economici della comunità e dell’opera non è chiaro né trasparente … Aiutiamoci, fratelli, aiutiamoci sempre e con la verità e libertà evangelica, perché questi pericoli esistono anche tra noi.

 

3.4. Sogno una Congregazione di veri Evangelizzatori e Educatori nella Fede.

Questa è un’altra delle preoccupazioni, fratelli, e un vero sogno che so non è solo mio. E, inoltre, attraversa tutta la nostra storia congregazionale, e abbiamo centinaia di pagine di nostri documenti, già nelle nostre Costituzioni, i Capitoli Generali e tanti interventi dei Rettori Maggiori, che hanno fatto forti chiamate d’attenzione per curare la nostra dimensione evangelizzatrice e di educatori alla fede.

Perché questo sogno? Perché realmente non vorrei che fossero profetiche le parole di Don Vecchi quando riferendosi al primato della evangelizzazione, diceva: “Può capitare che, presi da una moltitudine di attività, preoccupati delle strutture e indaffarati nell’organizzazione, corriamo il rischio di perdere di vista l’orizzonte della nostra azione, e apparire come attivisti o “movimentisti” pastorali, gestori di opere o strutture, ammirevoli benefattori, ma poco come testimoni espliciti di Cristo, mediatori della sua azione salvifica, formatori di anime, guide nella vita di grazia”[22].

E leggendo questo testo, sentivo che questa era assolutamente la medesima convinzione che sono andato maturando nei miei anni di vita salesiana e allo stesso tempo mi sorprendeva, gradevolmente, di ritrovarmi con tante riflessioni di Don Pascual Chávez che manifestava la sua convinzione e impegno per animarci in questa direzione[23], come già lo aveva fatto in precedenza Don Egidio Egidio Viganó[24]  ed anche  Don Juan E. Vecchi[25].

 Ciò che cito è una dimostrazione di come la dimensione di evangelizzazione ed educazione alla fede è, certamente, una preoccupazione che attraversa tutta la nostra storia di Congregazione, come già ho detto.

Tante altre chiamate di attenzione ‘essenziali e motivanti’ ci vengono dalle nostre Costituzioni. In esse troviamo testi che ci dicono che “fedeli agli impegni che Don Bosco ci ha trasmesso siamo evangelizzatori dei giovani, specialmente dei più poveri”(Cost. 6), e cosi come Don Bosco ci comunicò che la Congregazione cominciò con  una catechesi, “anche per noi l'evangelizzazione e la catechesi sono la dimensione fondamentale della nostra missione” (Cost. 34), missione questa che portiamo avanti in questo modo: “Educhiamo ed evangelizziamo secondo un progetto di promozione integrale dell'uomo, orientato a Cristo, uomo perfetto” (Cost. 31), e questo inoltre perché crediamo realmente che “Dio ci sta aspettando nei giovani per offrirci la grazia dell’incontro con Lui e disporci a servirlo in loro, riconoscendo la loro dignità ed educandoli alla pienezza di vita”[26].

Mi azzarderei a dire che tutti noi salesiani abbiamo ricevuto questa formazione e informazione, in una o altra maniera. Credo realmente che se incontriamo difficoltà nel compiere la nostra missione evangelizzatrice non è, in generale, per ignorare quale sia il costitutivo del nostro essere salesiani, missionari dei giovani. Credo che crediamo veramente che “è necessario annunciare Cristo. Conoscerlo è un diritto di tutti”[27] e che come evangelizzatori ed educatori della fede “desideriamo che (i giovani) sentano Dio come Padre e conoscano Gesù Cristo. Siamo convinti che la proposta del Vangelo porta energie insospettate per la costruzione della personalità e lo sviluppo integrale che ogni giovane merita”[28].

  Credo che sono altre le sfide e altre le difficoltà. Una grande sfida è di sforzarci ad assumere questo compito e missione, nonostante che molte volte sia difficile, quando i giovani non stanno propriamente aspettando né si sentono motivati davanti ad essa. Ci sono continenti – e il più marcato in questo senso mi sembra che sia l’Europa – dove l’annuncio esplicito del Vangelo, anche se fatto con le metodologie e pedagogie adeguate, non sempre incontra un campo di coltivazione adatto. E la reazione di tirarci indietro è molto umana, o ancor più umana quella di fermarci a metà del cammino, e di passar tempo e tempo nei preamboli che permettano una iniziazione alla fede. È per questo che la prima grande sfida è di essere convinti della somma importanza che ha la nostra missione, e trovare le energie sufficienti per metterci pienamente in essa, pur sapendo che non saremo ricevuti né con applausi, né con attenzione. Dobbiamo essere coscienti, d’altra parte, che queste situazioni di difficoltà, indifferenza e a volte rifiuto, hanno accompagnato l’azione evangelizzatrice fin dai primi tempi. Anche la diversità dei contesti religiosi ci frena, non poche volte, nell’annuncio di Gesù Cristo, e possiamo restare con un’azione sociale e umanitaria, che in se stessa è buona, ma se in essa manca la evangelizzazione ed educazione alla fede, restiamo a metà del cammino.

E a questa sfida della freddezza, indifferenza, incluso il rifiuto della necessità di Dio, nei vari contesti in cui siamo, si aggiungono altre difficoltà che oso chiamare gli alti costi che paghiamo a causa di alcune azioni o decisioni: la preoccupazione per le strutture, i carichi amministrativi che sentiamo di dover potare avanti, la gestione, la crescita e sovrapposizione di attività, e molte altre cose, ci limitano in certe occasioni. Logorano energie, diminuiscono o uccidono la gioia vocazionale e di felicità come salesiani e, soprattutto, possono distoglierci dallo stare in mezzo ai giovani, e se non stiamo con loro, in mezzo a loro e sempre al loro servizio, non è possibile la evangelizzazione.

Miei cari confratelli: in verità, desidererei di tutto cuore che nessuno di voi possa interpretare queste mie parole come di pessimismo. Non sono pessimista. Tutto al contrario, io continuo ad affermare, come faccio da molto tempo, che abbiamo una bellissima Congregazione, nella quale, pur con le difficoltà che si possono avere, facciamo moltissimo bene, e dobbiamo dare immense grazie al Signore per questo; però ciò che ho presentato come rischi, timori, difficoltà e limitazioni non è una novità per voi. Lo conosciamo e tutti l’abbiamo ascoltato tante volte. La questione decisiva sarà il nostro modo di agire dopo l’analisi e la diagnosi adeguata.

In questo senso desidero dirvi che leggendo le lettere di Don Rua, Don Albera e Don Rinaldi, indirizzate alla Congregazione nelle sue prime decadi di vita, ho goduto molto per il senso che essi davano ad esse. Sono lettere semplici, molto familiari, che cercano di cogliere il polso della crescita, sviluppo e sistemazione della Congregazione, con le sue luci e le sue ombre e con le grandi sfide  che stavano apparendo, inclusa tra esse una prima guerra mondiale. Sono lettere che avvertono del rischio di “trascurare” quello era stato centrale in Don Bosco:  in. definitiva il “Da mihi animas cetera tolle”, il nostro Evangelizzare ed Educare oggi, essendo totalmente dei giovani e per loro. E davanti a queste sfide non dubitavano di fare semplici ma molto vive chiamate di attenzione per non trascurare la ragione fondamentale per la quale Don Bosco diede vita alla Società Salesiana.

In sintonia con questo sentire dei Rettori Maggiori primi e ultimi, io vi sto esponendo in queste pagine ciò che porto profondamente nel cuore. Credo fermamente che in questo, che ho voluto chiamare “Mio Sogno - nelle sue cinque parti“, sto proiettando molto della vita e ricchezza della nostra Congregazione, ed ho la grande speranza che continueremo in questo cammino, crescendo, avanzando in ciò che è fondamentale, in ciò che realmente ci fa essere quello che siamo. Trovandomi con gli Ispettori in vari momenti, ho detto loro che mai devono permettersi che i problemi che possono incontrare oscurino lo sguardo sul molto di buono e bello che ciascuno ha nella propria Ispettoria. Le difficoltà si dovranno affrontare, però è molto più bello animare ogni salesiano a proseguire dando il meglio di se stessi, di quello che siamo, cioè vivere mostrando che siamo, come educatori ed evangelizzatori, degli appassionati dei giovani, coinvolti nella ‘trama di Dio, e che insieme con i nostri fratelli salesiani, nelle nostre comunità, e con tanti educatori, educatrici, amici, laici impegnati, vogliamo continuare facendo realtà questo sogno di Don Bosco, col medesimo entusiasmo col quale egli riuscì a trasmetterlo ai suoi primi salesiani e laici per meritare la qualifica che ci diede Paolo VI, chiamandoci “missionari dei giovani”.

 

 

3.5. Sogno una Congregazione sempre missionaria

 

3.5.1. Perché è qualcosa di costitutivo che ci caratterizza

Così leggiamo nelle nostre Costituzioni: “I popoli non ancora evangelizzati sono stati oggetto speciale della premura e dello slancio apostolico di Don Bosco. Essi continuano a sollecitare e a mantenere vivo il nostro zelo: ravvisiamo nel lavoro missionario un lineamento essenziale della nostra Congregazione[29]. Con l’azione missionaria compiamo un’opera di paziente evangelizzazione e fondazione della Chiesa in un gruppo umano” (Cost..30).

Mi permetto di ricordare qui ciò che ben sappiamo: Don Bosco, fin da giovane, accarezzò il desiderio di essere missionario. Don Cafasso, accompagnandolo nel suo discernimento vocazionale, gli “sbarrò” il cammino, dicendogli che non doveva andare nelle missioni (cfr. MB 2, 203-204), però sempre egli ebbe questo pensiero nel suo cuore e lo realizzò mediante i suoi figli, fin da quel 11 novembre 1875, scegliendo dal gruppo dei suoi primi salesiani quelli che invierà in America per provvedere alle necessità spirituali degli emigrati e portare il Vangelo ai popoli che non lo conoscevano. Da quella prima spedizione a quella del prossimo 27 settembre 2015, se ne saranno succedute 146. Poco dopo il primo invio di salesiani anche le Figlie di Maria Ausiliatrice anno dopo anno sono andate nelle terre di missione. Attualmente, questo invio conta anche, frequentemente, la presenza di missionari e missionarie laici.

Non dobbiamo trascurare un dato che parla da se stesso e che già ricordai in una lettera anteriore (ACG 419). Alla morte di Don Bosco in America i salesiani era 153, cioè il 20% dei salesiani di allora, come risulta nel catalogo della Congregazione di quel anno.

E Don Paolo Albera scrive in una delle sue lettere del 1912, riferendosi a Don Bosco: “Le missioni erano l’argomento prediletto dei suoi discorsi e sapeva infondere nei cuori un vivo desiderio di arrivare ad essere missionari, in modo che sembrava la cosa più naturale del mondo”[30].

Sempre sono stato convinto che la dimensione missionaria è un tratto essenziale e costitutivo della nostra identità come Congregazione. Quanto più mi sono accostato ai nostri documenti, tanto più ferma è questa convinzione, e serva come dimostrazione ciò che segue. Il CG19 chiedeva alla Congregazione di rivivere “l’ideale di Don Bosco, il quale volle che l’opera delle Missioni fosse l’ansia permanente della Congregazione, in modo tale da formar parte della sua natura e del suo scopo”[31], e Don Vecchi scrive a suo tempo: “Poiché il senso missionario non è un tratto opzionale, ma appartiene all’identità dello spirito salesiano in ogni epoca e situazione, nella programmazione del Rettor Maggiore e del suo Consiglio l’abbiamo proposto a tutte le Ispettorie come area di attenzione”[32].

Sappiamo bene come Don Bosco, che non andò in nessuna terra lontana, lavorò con i suoi ragazzi a Valdocco accendendo in essi e nei suoi giovani salesiani questa passione missionaria, questo zelo per la diffusione del Vangelo. Le diverse letture, il Bollettino Salesiano e tutto quanto sembrava utile ed opportuno era impiegato per diffondere questo sogno missionario.

3.5.2. Perché i tempi che viviamo lo chiedono fortemente

 

Non pretendo con queste linee illustrare niente di nuovo riguardo a questo tema. Abbiamo molta documentazione, preziosa; desidero però sottolineare delle cose, che mi porto molto nel cuore, in questo che ho chiamato mio sogno:

a.- Che la dimensione missionaria deve essere qualcosa di caratteristico di ciascuno di noi, perché fa parte dello spirito salesiano in se stesso. Vale a dire, non è qualcosa di aggiunto ad alcuni.  È parte essenziale del nostro cuore pastorale. Poi, certamente, molti dei nostri confratelli sentono questo invito speciale e personale del Signore per essere missionario ‘ad gentes’.

b.- Che la nostra Congregazione più che mai e per fedeltà al Vangelo, alla Chiesa e Don Bosco, deve continuare ad essere missionaria. Ho enumerato altre volte alcune sfide missionarie che abbiamo all’orizzonte e dei campi nei quali dobbiamo fortificare la missione.

c.- Rinnovo in questo momento il mio invito a tutti quelli che si sentono chiamati per la ‘missio ad gentes et ad vitam’ che accolgano la chiamata e possiamo realizzare, al tempo opportuno, il discernimento adeguato. Ho ricevuto lettere di confratelli, generalmente giovani, che mi dicevano che era loro desiderio essere missionari, ma che il loro superiore (a volte il direttore, a volte l’ispettore) li dissuadeva o semplicemente glielo proibivano o non li autorizzavano.

Contemplando col cuore Don Bosco, credo di poter dire che nessuno dovrebbe porre impedimento a queste chiamate vocazionali che fa il Signore, e le proprie difficoltà locali o delle Ispettorie non devono entrare in questi desideri generosi. Non dimentichiamo mai, fratelli, che il Signore è molto più generoso di quanto possiamo esserlo noi.

  Aggiungo, finalmente, che credo siano maturi i tempi, e la necessità della missione lo consigli, perché, in maniera coordinata e con conoscenza del Rettor Maggiore per mezzo del Consigliere Regionale e del Consigliere per le Missioni, possiamo offrire l’aiuto di confratelli delle Ispettorie che hanno più vocazioni, in maniera temporanea, per un tempo determinato, ad altri luoghi e Ispettorie della Congregazione. Cari confratelli Ispettori, siate generosi! Don Bosco lo fu in modo eccezionale.

Concludo questa lettera, che ho voluto condividere con voi con vivo affetto e convinzione, richiamando i miei fratelli salesiani, facendo loro presente il momento di pensare alla nostra Congregazione, alla nostra Consacrazione e Missione, e sempre ringraziando il Signore per la vita di ciascuno.

Sono state molte le visite di questo anno a Valdocco. A giorni sarò ancora lì. Prometto la mia preghiera al Signore con l’intercessione di Don Bosco e della nostra Madre Ausiliatrice. Ella è non solo Colei che ha fatto tutto con Don Bosco, ma anche Colei che accompagna noi come Evangelizzatori ed Educatori nella fede dei nostri giovani, come Madre della  Chiesa e Ausiliatrice del Popolo di Dio, in questo momento storico speciale che ci tocca vivere.

A Lei dirigiamo la nostra orazione con la stessa preghiera che fa il Papa Francesco nella “Lumen Fidei”:

Aiuta, o Madre, la nostra fede!
Apri il nostro ascolto alla Parola,

perché riconosciamo la voce di Dio e la sua chiamata.
Sveglia in noi il desiderio di seguire i suoi passi,

uscendo dalla nostra terra e accogliendo la sua promessa.
Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore,

perché possiamo toccarlo con la fede.
Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui,

a credere nel suo amore, soprattutto nei momenti di tribolazione e di croce,

quando la nostra fede è chiamata a maturare.
Semina nella nostra fede la gioia del Risorto.
Ricordaci che chi crede non è mai solo.
Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù,

affinché Egli sia luce sul nostro cammino.

E che questa luce della fede cresca sempre in noi,

finché arrivi quel giorno senza tramonto,

che è lo stesso Cristo, il Figlio tuo, nostro Signore!

  

Un grande abbraccio a ciascuno, con la Benedizione del Signore e il mio augurio di ogni bene per tutti voi, Fratelli. Con tutto il mio affetto,

  Ángel Fernández Artime, sdb

Rettor Maggiore



[1]  Papa Francesco: Lettera Apostolica a tutti i consacrati in occasione dell'Anno della Vita Consacrata, 21 novembre 2014, I, 1

[2]  ACG 419, 27

[3]  Papa Francesco,  Messaggio per l’apertura dell’Anno della Vita Consacrata, 30 novembre 2014

[4]  CG27, n. 4

[5]  ET 55 citata nel CGS20,  n. 22

[6]  CG23, n. 165

[7]  V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e del  Caribe.  Documento di Aparecida (29 giugno 2007),  n. 360

[8]  Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 264

[9]   Don Vecchi esprime questa esperienza di vita consacrata in questa bella maniera: “L’esperienza personale di chi si è sentito chiamato a questo modo di vita: la singolare luminosità con la quale Cristo si fa presente a noi e il fascino che ha esercitato in noi, la ricchezza delle prospettive che si aprono all’esistenza quando si concentra in Dio, la pace che si sperimenta ad amare Dio con cuore indiviso, la gioia della donazione nella missione, il privilegio di godere della intimità di Cristo e partecipare della Vita Trinitaria”, in J.E. Vecchi, Educatori appassionati esperti e consacrati per i giovani. Roma, LAS 2013, 112  

[10]   Questa aggiunta è mia.

[11]   M. Beatrix Mayrhofer, ssnd: Paradigma innovador en la Vida Consagrada. Rivista Vida Religiosa -Monográfico-. Madrid, 5/2014/Vol 116, p. 65/(513)

[12]   CG27, n. 32

[13]   Cfr. CG27. Discorso del RM alla chiusura. Punto 2.2.1

[14]   Papa Francesco,. Messaggio per l’apertura dell’Anno della Vita Consacrata

[15]   Cfr. Papa Francesco, Lettera Apostolica a tutti i consacrati...  I, 3

[16]   Cfr. CGS20, n. 181, e anche nn. 70,71,76,181,596,603 e 612

[17]   Cfr. CG21, n. 158,159 e richiama il CGS20 nn. 39-44, 181,515 e 619

[18]   Cfr. CG22, n. 6

[19] Cfr. CG23, n. 230

[20]   San Giovanni Crisostomo, citato in EG 57

[21]   Papa Francesco: Lettera Apostolica a tutti i consacrati...  II, 4

[22]   J.E. Vecchi, ACG 373, 35

[23]   P. Chávez, ACG 379, “Cari Salesiani, siate santi”14,15ss, 19ss; ACG 383, 70 ss; ACG 384, 19-20 e 26-28; ACG 386, 16-19 e 44ss; 

[24] E. Viganò, cfr. Lettere circolari: Progetto educativo salesiano (ACG 290); Nuova educazione (ACG 337); Educare alla fede nella scuola (ACG 344); Lettera Siamo profeti-educatori ACG 346)

[25]   J.E.VECCHI, ACG 357, 19ss; ACG 362, 12-15;

[26]   CG23, n. 95, citato anche in Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana, La pastorale giovanile salesiana. Quadro di riferimento.  Roma, 2014, 52

[27]   J. E. Vecchi, ACG 364, 17

[28]   Dicastero P.G., Ibid, 56

[29]   Il corsivo è una mia sottolineatura..

[30]   Lettere circolari di Don Paolo Albera ai salesiani. Direzione Generale Opere Don Bosco, Torino, 1965, 133

[31] ACG n.. 244, 209

[32] J.E. VECCHI, ACG 362, 7